La nostra realtà è solo una simulazione?

da

Matrix: pillola blu o pillola rossa?


“Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?”

Sono le parole di Morpheus, dette a Neo nel film Matrix per prepararlo ad affrontare il più grande shock della sua vita: scoprire che tutto ciò che lui considerava dalla nascita come reale era, di fatto, finzione.

Il lavoro dei fratelli Wachowski ha avuto talmente successo da essere divenuto ormai parte dell’immaginario collettivo delle ultime due generazioni, e tale venerazione è probabilmente dovuta al fatto che la storia affronta una suggestione che da molti anni affascina le persone: ciò che viviamo è davvero la realtà?

Matrix in fondo è solo una tappa in questo cammino di ricerca, che spazia dall’intrattenimento allo studio: negli anni cinquanta ad esempio ebbe un grande favore di pubblico il programma Candid Camera che si divertiva ad osservare le reazioni di persone poste in situazioni del tutto artificiali nelle quali però le vittime erano convinte di vivere qualcosa di naturale, spontaneo. E col passare del tempo il tema è comparso spesso in film o romanzi, basti pensare al ponte ologrammi di Star Trek o le vicende narrate in The Truman Show.

La realtà virtuale torna in auge

Complice poi il rinnovato interesse attorno alla realtà virtuale il dibattito ha ripreso negli ultimi tempi particolare vigore. E quando Elon Musk, visionario uomo d’affari ideatore tra le altre cose del marchio automobilistico Telsa, da sempre interessato da temi tecnologici e scientifici di “frontiera”, ha affermato con la massima serietà che “c’è una probabilità su un miliardo che la realtà nella quale viviamo non sia una simulazione“, chiaramente suggestioni (e inquietudini) hanno raggiunto livelli altissimi.

Pertanto è lecito chiedersi: una volta ripulita da tutte le componenti emotive e folkloristiche, quello che rimane attorno a questa ipotesi merita un approfondimento? E’ davvero così probabile che anche noi siamo vittime e schiavi di una matrice che ci raggira illudendoci con una libertà che invece non abbiamo? Non ho la presunzione di dare una risposta definitiva alla domanda, ma cercherò di fornire qualche spunto di riflessione.

Innanzitutto: cosa s’intende per “realtà”? Si tratta di un concetto che ci risulta sicuramente familiare, ma che è veramente difficile da formalizzare a parole.

Una definizione che si trova spesso è “reale: ciò che esiste effettivamente, di solito in contrasto a ciò che è illusorio, immaginario o fittizio“, ma si tratta a mio avviso di un modo un po’ furbo per aggirare il problema. Costruisco una definizione dalla contrapposizione di un’altra definizione. Realtà è ciò che non è illusorio.

E allora cosa s’intende per “illusorio”?

La filosofia e la scienza (in particolar modo fisica e chimica) da secoli cercano di trovare un modo per descrivere la realtà con la massima precisione. Reale è ciò che riesco a percepire, misurare, capire, predire. La forza di gravità è reale: la sento agire sul mio corpo, la riesco a misurare usando ad esempio una bilancia, grazie a Newton ne capisco il funzionamento e grazie alle sue leggi riesco a prevedere ad esempio quanto tempo ci mette una pallina a percorrere un piano inclinato avente una lunghezza ed una pendenza nota.

La realtà è l’insieme di formule matematiche

Durante il diciottesimo secolo, in pieno periodo illuminista, si era giunti alla convinzione che tutto potesse essere spiegato. O, vedendola in un altro modo, che fosse possibile descrivere qualsiasi fenomeno che governa il nostro universo, con equazioni, numeri o algoritmi. Bastava solo aver pazienza e costanza. Forse le equazioni o gli algoritmi che descrivevano con precisione i fenomeni più complessi sarebbero risultati complicatissimi ma ciò non ne escludeva la loro esistenza. Vedendola dal punto di vista informatico si può dire che, se gli illuministi avevano ragione, possedendo un elaboratore abbastanza potente ed avendo abbastanza tempo, sarebbe possibile riprodurre qualsiasi fenomeno della natura, prevedendone con certezza matematica gli sviluppi da una data condizione iniziale. Dovremmo quindi essere in grado di simularlo, di “virtualizzarlo”: non abbiamo ancora provato se Musk abbia ragione ma il suo scenario sembra quantomeno fattibile.

Esiste però anche un aspetto piuttosto inquietante: se la natura è completamente rappresentabile da un insieme di numeri ed algoritmi allora lo siamo anche noi: in fondo facciamo parte della natura, ed il nostro corpo è anch’esso governato dalle leggi della fisica.

Cosa significa? Per ciascuno di noi esiste un “algoritmo” (o un insieme di formule), che descrive ad esempio con precisione assoluta ciò che stiamo per fare, ciò che decideremo tra un giorno, tra un anno. Leggi immensamente complesse, ma che sono scolpite sulla pietra. Sarebbe la morte definitiva del concetto di libero arbitrio: non importa quanta pena la gente si dia per conquistare obiettivi e libertà, le cose comunque andranno secondo schemi esistenti da sempre. O, per dirla in un altro modo: il nostro destino sarebbe già stato scritto prima ancora della nostra nascita.

Heisenberg e il principio d’indeterminazione

Werner Karl Heisenberg, fisico tedesco nonché uno dei padri della meccanica quantistica (il cui nome, tra l’altro, è stato usato nella famosa serie televisiva Breaking Bad) nel 1927 introdusse il celebre principio d’indeterminazione, secondo il quale la misura simultanea di due variabili coniugate, come posizione e quantità di moto, oppure energia e tempo, non può essere compiuta senza una quota d’incertezza minima ineliminabile. Detto in termini meno tecnici: è impossibile riuscire a misurare con precisione assoluta qualsiasi fenomeno della natura. Più il sistema diventa complesso, più sono piccole le dimensioni delle varie variabili, e meno sarà preciso il nostro tentativo di lettura. Svanisce quindi l’ipotesi di riuscire a scrivere con precisione una serie di leggi che descrivono completamente ciò che ci circonda poiché il concetto stesso di “precisione” è illusorio.

Abbiamo appena salvato il libero arbitro, sfortunatamente il principio d’indeterminazione sembra anche ostacolarci nella nostra ricerca sulla verità del nostro universo. In un’ipotetica corsa alla costruzione di microscopi sempre più potenti per arrivare a trovare attaccato alle particelle subatomiche un cartello con scritto “Greetings from agent Smith”, il principio d’indeterminazione ci dice che ad un certo punto le immagini inizieranno ad essere sfocate, e più tenteremo di ingrandire e più sfocato sarà il risultato, fino a quando non sarà impossibile distinguere nulla.

Se fossimo all’interno di una simulazione creata da una razza superiore, che ha pertanto realizzato un universo in provetta su misura per noi, “basterebbe” che la risoluzione di questa loro creazione fosse superiore alla nostra capacità di distinguere tra le sfocature, e non ci sarebbe possibile pertanto trovare le tracce della matrice che ci ospita.

Quindi abbiamo “perso”? Forse no.

I numeri Primi

Un alleato inaspettato per rispondere a questa domanda potrebbe arrivare dalla matematica. Nello specifico dai numeri primi.
Ne avrete sicuramente sentito parlare, altrimenti ecco la definizione: un numero primo è un numero intero che non è possibile dividere per nessun altro numero, se non se stesso ed uno, ottenendo nuovamente un numero intero.

Sei non è un numero primo, infatti, se lo divido per tre ottengo due, che è un numero intero, ventuno non è un numero primo, posso dividerlo sia per sette sia per tre ed ottengo nuovamente dei risultati interi. Trentasette invece è un numero primo: non esiste nessun numero intero che riesca a dividerlo, tranne trentasette ovviamente, ed uno (che però non è mai considerato poiché tutti i numeri sono divisibili per uno).
Si è soliti dire, con un po’ di romanticismo, che i numeri primi sono i mattoni che costruiscono tutti i numeri esistenti. Infatti, ogni numero può essere rappresentato come la moltiplicazione di una serie di numeri primi. Prendiamo ad esempio un numero qualsiasi: 14472. Questo numero si può ottenere moltiplicando il due per tre volte, il tre per tre volte, ed infine il risultato per sessantasette. Due, tre e sessantasette sono numeri primi, quindi 14472 è costruibile utilizzando questi tre singoli mattoncini.
Un’altra caratteristica a rendere speciali i numeri primi è la difficoltà a capire se un numero sia un nuomero primo o meno. In altre parole, preso un qualsiasi numero, la ricerca dei mattoncini che lo compone è un lavoro molto complesso, la cui complessità aumenta in modo non lineare via via che i numeri diventano più grandi. Come corollario: stabilire se un numero è primo rappresenta una sfida molto impegnativa, specie se il numero è elevato. Se vi chiedessi di dirmi se 32416190071 fosse un numero primo, vi “costringerei” a fare tante divisioni quanti sono i numeri primi compresi tra uno e 32416190071. Credetemi: sono tantissime operazioni. Basta che una sola di queste dia un risultato intero ed il numero non è primo. Se fosse davvero primo lo scoprireste solo dopo averle eseguite tutte (per la cronaca: 32416190071 è primo).  Inoltre, dovreste avere un elenco con tutti i numeri primi trovati fino a quel momento per sapere quali divisioni dovreste fare. Questa difficoltà del resto è alla base di tutta la crittografia moderna, se qualcuno scoprisse un modo semplice e veloce per scomporre un numero in fattori primi l’intera economia mondiale collasserebbe all’istante. Fortunatamente, siamo abbastanza confidenti (anche se non sicuri) che tale metodo non esista.
Mentre scrivo quest’articolo il numero primo più grande conosciuto è 2^74207281 – 1, un modo elegante per evitare di scriverlo per esteso, poiché altrimenti mi servirebbero più di ventidue milioni di caratteri. Uno sforzo di ricerca che ha richiesto mesi di lavoro congiunto di decine di migliaia di elaboratori.
E’ il più grande di tutti? Ce ne sono altri? Sì: i numeri primi sono infiniti. Lo scoprì Euclide nel 300 avanti Cristo, ed altre dimostrazioni furono formulate in seguito. Eviterò di annoiarvi con dettagli tecnici, ma per i curiosi qui ne trovate alcune: https://primes.utm.edu/notes/proofs/infinite/

I numeri primi e la realtà simulata

Ritorniamo alla nostra realtà simulata: se vivessimo all’interno di “Matrix”, questa simulazione dovrebbe essere in grado di rappresentare coerentemente anche tutte le leggi della fisica e della matematica, compresa la struttura dei numeri primi. E non esistendo un modo per generare numeri primi in modo semplice, occorrerebbe pertanto una struttura computazionale che:

  1.  abbia abbastanza velocità
  2. abbia abbastanza memoria

per riuscire a fornirci i numeri i primi che noi cerchiamo di volta in volta. Ed essendo questi infiniti, dovrebbe, pertanto, avere infinita memoria ed infinita velocità. Cosa francamente poco verosimile.

Conclusioni

Siamo arrivati alla fine: viviamo in un universo fatto di regole fisiche e matematiche, se la nostra realtà fosse una simulazione pure esse dovrebbero essere simulate. Ma, come visto, simulare la generazione di numeri primi è un grosso problema: per quanto una civiltà sia evoluta si troverebbe alla fine a scontrarsi coi suoi limiti nel riuscire ad affrontare problemi di complessità infinita.
Quindi Musk ha torto?
Forse no. Fino ad oggi siamo sempre stati capaci a trovare nuovi numeri primi, sempre più grandi, incoraggiati dalla certezza che non finiranno mai. Ma se un giorno dovessimo all’improvviso scoprire che nonostante gli sforzi, nonostante la pazienza, non dovesse più apparirne nessuno di nuovo, beh forse varrebbe la pena chiedersi se è arrivato il momento di prendere la famosa pillola rossa…

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