REALTÀ VIRTUALE: LO SPAZIO È LA STORIA

da

ALLA SCOPERTA DI UN NUOVO E DIROMPENTE MEDIUM

“Lo spazio è la storia”, con questa dichiarazione Daniel Fraga, designer e programmatore di realtà virtuale, apre il suo talk sulla realtà virtuale. Daniel, oltre che essere designer e programmatore di VR è anche architetto e ricercatore, in sostanza un post-architetto.
La sua formazione architettonica diventa evidente quando, sempre nel tentativo di decodificare questo dirompente e conturbante linguaggio media, prende a prestito le parole di Rem Koolhaas, archistar olandese, e spiega come l’architetto accosti episodi spaziali per creare delle sequenze – “Architects also put together spatial episodes to make sequences”.

Ed è così che ho capito di essere nel posto giusto.

Un po’ per curiosità e un po’ per caso, con la speranza di scoprire qualcosa in più su questa nuova e dirompente tecnologia, e con il timore di uscirne con un pugno di mosche, sono andata ad assistere alle giornate di approfondimento “River college Virtual Reality” organizzate a Padova dall’Associazione Culturale Researching Movie.

Da subito mi ha colto la sorpresa e la gioia di trovarmi di fronte a relatori davvero preparati, professionisti e pionieri che si sono riuniti per sviscerare e condividere conoscenza su un settore da esplorare e che riserva ancora tantissime sorprese.

Da perfetta ignorante e, devo ammetterlo, con una conoscenza  superficiale, non mi ero mai chiesta quale fosse davvero la natura di questo nuovo media, le sue potenzialità e i suoi effetti sulla nostra percezione. A mia discolpa c’è da dire che fino a pochi anni fa la VR era utilizzata come tool in ambito scientifico, più che come medium attraverso cui rappresentare mondi più o meno realistici.

Ecco perché sono trasalita non appena Daniel, con il suo perfetto accento british, ha cominciato a parlare.

“Nella Realtà Virtuale”, spiega  Daniel Fraga, “non esiste il concetto di frame – inquadratura – tu, utente, vivi nello spazio e nella storia che si dipana tutt’attorno a te”.

Questa che all’apparenza potrebbe sembrare un’affermazione semplice e ovvia, in realtà nasconde al suo interno un significato enorme.

Per capirne la reale portata dobbiamo fare un passo indietro.

IL FRAME COME LIMITE: IL CINEMA E LA FOTOGRAFIA

Torniamo in un vecchio cinema di Parigi, una folla che si dispone a guardare una delle prime proiezioni pubbliche della storia del cinema – L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat dei fratelli Auguste e Louis Lumière. La leggenda narra che le persone scapparono terrorizzate alla vista di quel treno che, correndo a gran velocità verso i binari della stazione, pareva in procinto di schiantarsi addosso a loro.
L’estremo realismo della scena e l’immedesimazione dell’occhio dello spettatore con il punto di vista della cinepresa, avevano trasformato “la riproduzione di una scena di vita quotidiana nella sua drammatizzazione in termini di spettacolo. È la propensione dello spettatore ad immedesimarsi nello spettacolo a rendere reale ed attuale ciò che sta guardando.

Era il 1896, l’alba della nascita dei nuovi media.

Pochi anni prima del cinema era comparsa sulla scena la fotografia, che per la sua eccezionale capacità di riprodurre il visibile, aveva del tutto sostituito la pittura figurativa e segnato l’inizio dell’arte contemporanea.

I cosiddetti nuovi media, si erano assunti il compito di rappresentare la realtà, così com’era, così come il nostro occhio la percepiva. Ma gli artisti che ne hanno studiato  la natura e sviscerato il linguaggio, già all’epoca ne avevano ben codificato la grammatica.

Né il cinema, né tantomeno la fotografia, possono rappresentare il reale così com’è, in entrambi i casi esiste un limite ben definito, e questo limite è proprio il frame – l’inquadratura – che circoscrive la porzione di spazio rappresentata e che separa il soggetto osservatore dall’oggetto rappresentato.

Senza addentrarci troppo in là nell’analisi di questi due linguaggi, è sufficiente considerare come per esempio il cinema, nella costruzione della narrazione, utilizzi il concetto di fuori campo, il quale rinvia ad un altrove presente oltre ciò che è dato vedere  all’inquadratura.

SI FONDE IL CONFINE TRA REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE

Facciamo un altro salto nel tempo e arriviamo all’oggi, a quando la nascita della realtà virtuale rende possibile il superamento del confine che separa la realtà dalla sua rappresentazione. Riconoscere che nella VR non c’è frame e che l’utente è completamente immerso in ciò che vede, significa riconoscere che siamo all’alba della nascita di un medium che sta riscrivendo i paradigmi della rappresentazione.

“In VR your consciousness is becoming the medium”, dice Chris Milk, grande studioso e sperimentatore di realtà virtuale. Nella realtà virtuale, il medium sta diventando la coscienza di chi guarda.

L’utente è presente nello spazio virtuale, è dentro lo spazio, e in taluni casi può interagire con esso ed esplorarlo.

Ecco perché Daniel Fraga – designer e programmatore di Virtual Reality, architetto e ricercatore –  parla di Design Ontologico, una nuova e ibrida disciplina creativa che coniuga architettura, teatro, design comportamentale e cinema, per dar vita a una nuova dimensione della narrazione.

La grande sfida della VR, per Fraga, risiede proprio nella costruzione di spazi che lo spettatore possa esplorare ed esperire a suo piacimento: “To create spaces and worlds where people have a chance to live out their own stories within a frame…”. Nella VR l’esperienza viene messa a disposizione attraverso la realizzazione  di scene spaziali che compongono una sequenza, il cui output narrativo sarà sempre unico ed irripetibile, costruito in real time dall’utente che la sta guardando.

In tal senso Aimone Bodini, creative producer e VR specialist, citando il Professor Andrea Gaggioli spiega che “Il senso di presenza è l’illusione della non-mediazione”. In sostanza, a differenza di tutti i media che l’hanno preceduta, la VR ci dà l’illusione che il medium non esista affatto, superando a tutti gli effetti il senso di presenza a cui siamo stati abituati fin dalla nascita dei “nuovi media”.

Attraverso alcuni esperimenti è stato dimostrato come questa prossimità tra il soggetto che percepisce e l’ambiente percepito, sia in grado di generare un’esperienza trasformativa nello spettatore di gran lunga superiore a qualsiasi altra rappresentazione mai esistita prima; e che di conseguenza sia favorita una fortissima immedesimazione ed un cambiamento drastico nel modo di percepire le cose e nella capacità di provare empatia.

VR, MOLTO PIÙ DI UN SEMPLICE TOOL

Analizzata in questi termini, la VR assume connotati ben diversi rispetto all’immaginario collettivo: non più un semplice tool per esperienze ludiche e divertenti, ma territorio dalle infinite potenzialità, in grado di coinvolgere i settori più svariati, dall’educazione alla scienza, dalla medicina alla psicologia.

Ad oggi, la tecnologia con cui si realizzano esperienze di VR è ancora troppo costosa per entrare nel mercato consumer, ed è molto difficile predire come evolverà. Di sicuro le contaminazioni con altre tecnologie, il convergere dei device, il mix di realtà aumentata e realtà virtuale, apriranno orizzonti ancora del tutto inesplorati.

Tanti sono gli aspetti da considerare quando si parla di realtà virtuale, e molti di questi sono stati più o meno approfonditi durante il convegno “River college Virtual Reality”. Nel corso delle giornate di studio c’è stato modo di conoscere questo medium in pratica, oltre che dal punto di vista storico ed ontologico.

Ho  visto alcuni esemplari di videocamere monoscopiche e stereoscopiche, di microfoni ambifonici, si è  parlato della differenza tra i vari tipi di visione immersiva, dei tool e delle tecniche per il montaggio. In sostanza, una panoramica a 360 gradi, tanto per rimanere in tema, sul mondo della Virtual Reality 😉

Stiamo mettendo nelle mani di chi progetta realtà virtuale una grande responsabilità, e questi sono semplici spunti di riflessione per cominciare ad addentrarci in questo magico mondo con un po’ di consapevolezza in più.

– INFOGRAFICA –
THE ROAD TO VR

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