COSA SIGNIFICA ESSERE UNA LEARNING ORGANIZATION?

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Il cattivo leader è colui che la gente disprezza. Il buon leader è colui che la gente rispetta. Il grande leader è colui che fa sì che le persone dicano: «L’abbiamo fatto noi». E non solo. A questa citazione di Lao Tze, mi permetto di aggiungere che il grande leader è anche colui che ha capacità di ‘visione’ a lungo termine. Questo perché la ‘visione’ implica avere un progetto che non si limita alla soddisfazione dei propri desideri personali, ma include una comunità ampia di persone, è allargata e inclusiva, come nel caso di un’organizzazione che si concentra sul benessere delle persone. In secondo luogo, perché viviamo in un contesto storico in cui la velocità la fa da padrona e per costruire un progetto che possa sopravvivere ed evolversi nel tempo è necessario ‘vedere’ nel futuro facendo scelte, anche coraggiose, che non si basino esclusivamente sul profitto immediato.

Per comprendere meglio in che maniera oggi viene affrontato il tema dell’organizzazione aziendale, e perché è importante parlare di Learning Organization, è necessario fare qualche passo indietro nel tempo.

VERSO LA SOCIETÀ CONOSCITIVA: IL LIBRO BIANCO DELLA COMMISSIONE EUROPEA, 1995

Nel 1995 viene pubblicato il Libro Bianco della Commissione europea – un documento che contiene proposte d’azione della UE in un settore specifico – dal titolo Insegnare e apprendere verso la società conoscitiva. La necessità di redigere questo documento era nata dell’elevato livello di emarginazione sociale e ignoranza culturale, con il conseguente aumento della disoccupazione, prodotto dall’avvento di alcuni fattori di cambiamento molto importanti: estensione a livello mondiale degli scambi, avvento società dell’informazione e progresso rivoluzione scientifica.
Nel dettaglio. Se da un lato consideriamo questi fattori come straordinari strumenti di progresso dell’umanità, dall’altro va sottolineato che hanno generato dei cambiamenti radicali in termini di abitudini di vita, di apprendimento e di lavoro, in un lasso di tempo brevissimo, mettendo in difficoltà larga fetta dell’umanità che fatica a stare al passo.

Nel libro ampio spazio è dedicato all’importanza della cultura come soluzione a questo problema. Il ragionamento è semplice: viviamo in un’epoca di progresso scientifico e tecnologico che fornisce l’opportunità di creare ‘cose mai viste’ e un accesso perlopiù illimitato a informazioni e saperi, ma la maggior parte delle persone non possiede le competenze necessarie o non ha gli strumenti culturali per adattarsi ad esso. Di fatto questo stesso progresso rimane un’arma in mano a pochi, e produce nel resto degli individui un senso di incertezza e insicurezza che li rende incapaci di goderne:

“In una società in cui l’individuo dovrà essere in grado di comprendere situazioni complesse che evolvono in modo imprevedibile, in cui dovrà affrontare un cumulo di informazioni di ogni genere, esiste un rischio di separazione fra coloro che possono interpretare, coloro che possono solo utilizzare e coloro che non possono fare né l’una né l’altra cosa. In altri termini, tra coloro che sanno e coloro che non sanno. Lo sviluppo della cultura generale, cioè della capacità di cogliere il significato delle cose, di capire e di creare, è la funzione di base della scuola, nonché il primo fattore di adattamento all’economia e all’occupazione. […] Sempre più la posizione di ciascuno di noi nella società verrà determinata dalle conoscenze che avrà acquisito. La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire nell’intelligenza, una società in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo potrà costruire la propria qualifica. In altri termini, una società conoscitiva”.

Proviamo a traslare quest’analisi nel contesto aziendale, premesso che per cultura aziendale si intende quell’insieme di regole, valori e principi, scritti e non scritti, che orientano i comportamenti, le relazioni e l’organizzazione di tutta l’azienda, in sostanza, che ne caratterizzano l’identità dentro e fuori.

Dedicare tempo e risorse per divulgare e promuovere la cultura aziendale tra i propri dipendenti, è un elemento essenziale per far sì che una Learning Organization possa davvero dirsi tale. Conoscere l’organismo per il quale si lavora, comprenderne a fondo l’identità, le relazioni fra le parti, gli obiettivi, etc., è l’unico modo per poterne far parte in modo proattivo, per avere la fiducia e la confidenza di muoversi al suo interno in modo ‘fluido’, per poter influenzare, anche se solo in piccola parte, il processo di evoluzione in virtù di un miglioramento continuo.

Non è un caso che da qualche anno che si assista al moltiplicarsi di Academy e corsi aziendali, utili alla formazione del personale interno e in molti casi anche dei clienti. All’interno di questi contesti la formazione è rivolta tanto alla trasmissione di sapere legato a specifiche attività produttive, quanto alla trasmissione di valori e principi che regolano il funzionamento aziendale: non solo il cosa ma anche il come!

In questo senso è pensato il nuovo hub di formazione di Interlogica, InterlogicAdemy, che prevede una formazione su più livelli. Se da una parte il nostro core business è la programmazione informatica – motivo per cui il primo corso a partire sarà rivolto agli sviluppatori – dall’altra siamo consapevoli che la nostra forza come organizzazione deriva anche dal nostro approccio. Questa situazione ci ha portato a dedicare alcuni moduli specifici alla nostra cultura, ai valori e al mindset Agile, che abbiamo sposato da molti anni, una fetta importante dell’impianto formativo, che è indirizzato sia a studenti esterni che seguiranno i corsi dell’Academy, sia ai dipendenti interni che manifesteranno interesse a partecipare, sia ai nuovi assunti, che non avendo mai vissuto le relazioni con i colleghi in presenza, hanno meno strumenti per percepire a pieno l’identità aziendale. Una componente educativa che è per noi tanto importante quanto quella su argomenti più prettamente afferenti alla sfera produttiva, perché la cultura aziendale è come il vento “è invisibile, ma il suo effetto si può vedere e sentire”, come scrivono Bryan Walker and Sarah A. Soule in un articolo del Harward Business Review,

LA QUINTA DISCIPLINA: SENGE E IL PENSIERO SISTEMICO, 1990

Cinque anni prima del Libro Bianco della commissione europea, nel 1990, viene data alla stampa la prima edizione del libro di Peter Senge, docente del MIT teorico della Learning Organization, La quinta disciplina: l’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo.

Cos’è un’Organizzazione che apprende?

“In futuro le organizzazioni che riusciranno effettivamente a eccellere saranno quelle che avranno scoperto come utilizzare l’impegno dei singoli e la capacità di apprendere a tutti i loro livelli. […] Tutti noi siamo stati, una volta o l’altra, parte di un grande «gruppo», di un gruppo di persone che operavano insieme straordinariamente bene – di persone, cioè, che si fidavano l’una dell’altra – che integravano i reciproci punti di forza e compensavano i limiti, che avevano obiettivi comuni più grandi degli obiettivi dei singoli e che producevano risultati straordinari. Ho incontrato molte persone che hanno sperimentato questo tipo di lavoro di gruppo in profondità – nello sport o nelle arti sceniche o negli affari. molte affermano di aver passato gran parte della loro vita cercando di ripetere quell’esperienza. esse avevano provato l’esperienza di un’organizzazione che apprende. Il gruppo che era diventato grande non aveva cominciato essendo tale – ma aveva imparato a produrre risultati straordinari”.

Nel libro Senge, fa riferimento in particolare a cinque discipline attraverso le quali un’organizzazione può davvero mettere in pratica un metodo di apprendimento conoscitivo:

  1. la padronanza personale,
  2. i modelli mentali,
  3. la costruzione della visione condivisa,
  4. l’apprendimento di gruppo,
  5. il pensiero sistemico.

Ogni disciplina rappresenta un approccio (teoria e metodo) finalizzato allo sviluppo di tre capacità di apprendimento fondamentali:

  • incoraggiare l’aspirazione
  • sviluppare la conversazione riflessiva
  • comprendere le complessità

L’ultima delle discipline, il pensiero sistemico, integra le prime quattro. Ora, senza entrare nel merito della teoria di Senge, è sufficiente sapere che il pensiero sistemico parte dal presupposto che in ogni singola frazione di un organismo complesso, quale può essere l’azienda, sono contenute le informazioni del tutto, e che il comportamento, anche solo di qualche unità, influenza il comportamento dell’intera organizzazione. Adottare una visione sistemica in un contesto aziendale, significa quindi avere la consapevolezza che ogni cosa relativa al singolo individuo, il suo grado di soddisfazione, di cultura, di comprensione della complessità, si manifesta, a breve o lungo termine, sul funzionamento di tutto il gruppo.

L’azienda è un apparato dinamico e complesso proprio perché è composto da persone che non rispondono alle ‘regole della logica’, né seguono equazioni o funzioni matematiche. Ogni giorno di più è essenziale valutare le molteplici combinazioni di fattori che interagendo si influenzano a vicenda, dando vita e mantenendo il sistema.

Ogni singolo individuo è parte dell’azienda nella sua globalità, e in un modo o nell’altro finirà per influenzarne l’assetto e il funzionamento. La mancanza di attenzione verso chi, per un motivo o per l’altro, rimane indietro, provoca l’innestarsi di equilibri basati sulle carenze invece che sulle potenzialità.
Al contrario, avere cura di tutte le persone permette che ciascuno acquisisca la padronanza personale dei processi, così da poter influire su di essi in maniera consapevole, crescendo e migliorando le proprie competenze. Agire in questo senso significa fare in modo che le persone non subiscano le regole e contemporaneamente significa favorire la crescita di un’azienda sana, in grado di raccogliere tutte le risorse per generare valore e innalzare il livello di qualità.
Un passaggio per niente facile e scontato, perché implica la revisione di molte pratiche, che in alcuni casi potrebbero apparire come una perdita di tempo/denaro, ma si rivelano essenziali in un’ottica di miglioramento globale a lungo termine.

Noi stessi, in Interlogica, abituati a navigare sulla scia del cambiamento continuo, siamo giunti a una sintesi del nostro Purpose solo recentemente. Un processo che ha impegnato molti di noi, a partire dal CEO, al CTO, a svariati colleghi entusiasti di definire a parole lo Scopo che guida le azioni nel contesto in cui lavoriamo ogni giorno.
L’evoluzione si sta rivelando un cammino costante, condivisa e influenzata da tutti coloro che contribuiscono giorno per giorno a renderla tale, un percorso tuttora aperto che ci vede faccia a faccia con la definizione di noi stessi come Interlogici e dell’ambiente che ci circonda.

USCIRE DALLA CRISI METTENDO IN DISCUSSIONE IL MODELLO DI LEADERSHIP DOMINANTE: DEMING E LA QUALITÀ TOTALE, 1980

Facciamo un ulteriore salto nel passato e torniamo al 1980, a quando cioè l’ingegnere, saggista e docente William Edward Deming teorizzò la TQM-Total Quality Management, la Qualità Totale in italiano, un modello organizzativo che ha avuto il suo apice in Giappone dove ha contribuito notevolmente al miglioramento del sistema produttivo, al punto che fu istituito un premio in un suo onore.

Dai suoi studi nacque anche il concetto di kaizen, nozione che ben si sposa, guarda caso, con il mindset Agile, e che sostanzialmente significa creare un ambiente di lavoro in grado di favorire il miglioramento continuo, ossia modificare il proprio modo di pensare al fine di sostituire ciò che già si fa con qualcosa di più efficiente.

Il pensiero di Deming spiega che quando le persone si concentrano di più sulla qualità (intesa come rapporto fra il risultato degli sforzi di lavoro e i costi totali), questa aumenta nel tempo e i costi diminuiscono, mentre quando gli individui si concentrano sui costi, sono questi ad aumentare e la qualità a diminuire nel tempo.

La Qualità Totale, che con gli anni fu in qualche modo accantonata perché ritenuta sorpassata, viene ripresa con vigore da Senge il quale, nell’introduzione all’ultima edizione del suo libro, si interroga se tale teoria sia stata messa da parte per il fatto che abbiamo raggiunto il cambiamento sperato, oppure perché in realtà vi abbiamo rinunciato. Cita anche il passaggio di una lettera a lui indirizzata da Deming quando oramai anziano all’età di 90 anni scrisse: “Il nostro sistema di gestione dominante ha distrutto la nostra gente. Le persone nascono con qualità intrinseche quali la motivazione, il rispetto per sé stesse, la dignità, la curiosità di imparare, la gioia nell’apprendere. Le forze distruttive iniziano ad agire quando si fanno i primi passi, tramite i premi per il costume di Halloween più bello, i voti a scuola, le medaglie, e continuano ad operare fino all’università. Al lavoro, le persone, le squadre e le divisioni vengono classificate, prevedendo un premio per chi arriva in cima e una punizione per chi resta in fondo. La gestione che si basa sugli obiettivi, le quote, gli incentivi, le pianificazioni aziendali, considerandoli come aspetti separati seppur collegati, divisione dopo divisione, determina delle perdite ancora più grandi, finora sconosciute e che non sarà possibile conoscere”.
Tra i mali elencati da Deming nella gestione occidentale del lavoro troviamo, tra gli altri, concetti come la ricerca del profitto a breve termine, la valutazione del personale basata sui risultati e sulle prestazioni di fine anno, la direzione dell’azienda basata solo su dati visibili. Tutti elementi che mettono le persone in uno stato mentale di ansia e stress tali da inibire il libero funzionamento del cervello, la sua intelligenza, l’emergere di idee innovative.
La conseguenza di tutti questi atteggiamenti è il livellamento, uno stato di efficienza controllato, probabilmente in grado di fornire risultati a breve termine, ma non adatto ad evolversi e migliorare nel tempo, e certamente di nessun beneficio per i lavoratori.

Come si raggiunge allora la qualità costante?
Lo sforzo di un’organizzazione si deve concentrare nel favorire l’originalità di pensiero, l’emergere dell’identità personale, garantendo una fluidità delle dinamiche e delle soluzioni lavorative, così che gli individui possano crescere con l’evolversi della complessità globale.
In quest’ottica è fondamentale creare un ambiente di lavoro che stimoli l’interazione e la collaborazione tra le persone nel raggiungere un risultato percepito al contempo come beneficio per tutti e per l’azienda, un sistema sano all’interno del quale tanto il merito quanto il profitto vengano intesi come risultato di un lavoro di collettivo, e non un contesto che incentivi la competizione che di fatto prevede solo la conquista di una ricompensa individuale.

BREVE INCISO SULL’ARRICCHIMENTO INDIVIDUALE

L’argomento di questo articolo è subito risuonato in me. Lavoro in azienda da diversi anni e ho visto fare molti passi concreti al fine di attuare un processo di Learning Organization e voglio fare un esempio che mi tocca personalmente. Poco meno di un anno fa, ho chiesto un’aspettativa di 8 mesi per necessità di cambiamento e di nuovi stimoli. Senza obiezioni la mia richiesta è stata avallata. Data di rientro fissata per fine giugno.
Nel corso di questi mesi, mentre mi trovavo all’estero, è arrivata la pandemia che ha sconvolto la vita di tutti noi e il mondo del lavoro, rendendo lo smart working una effettiva necessità. Una concomitanza che, al posto di spiazzarmi, mi ha favorita e mi ha permesso di ‘rientrare’ a lavorare da remoto lì dove già mi trovavo, senza l’obbligo di tornare fisicamente in Italia, cosa che, per inciso, molto probabilmente non avrei voluto fare. Ora sono in Portogallo, a scrivere queste parole, ho la possibilità di connettermi dai posti più improbabili, ho stravolto completamente la mia concezione di lavoro. Da un lato viene sicuramente meno il piacere dell’incontro fisico con i colleghi, dall’altro però si aprono frontiere inimmaginabili. Per certi versi il tipo di lavoro che facevo ora è cambiato, mi occupavo di realizzare video e ora, adattandomi al fatto che tutto si è spostato necessariamente solo online, mi dedico ad altri aspetti che prima erano solo marginali.

Coniugare chi sono oggi e ciò che faccio per vivere è molto più semplice; in certi momenti il lavoro è un modo per compensare la semplicità del contesto che mi circonda e della vita che conduco. Il mio cervello ne è stimolato, l’intelligenza sfidata e la mia identità arricchita. Mi capita di faticare a credere di vivere tutto questo realmente, con un pizzico di paura che il sogno finisca e mi chiedano di ‘tornare a lavorare’.

APPRENDIMENTO CONTINUO PER INNESTARE MODELLI ALTERNATIVI DI CONCEPIRE IL LAVORO

Al termine di questo breve excursus, ci si rende facilmente conto che trent’anni fa erano stati analizzati contesti e creati i presupposti teorici di argomenti che sono al centro del dibattito odierno.
Questioni come la cultura aziendale, la valorizzazione delle persone, il Team Learning continuano a dilagare nei tavoli di discussione legati al settore delle Human Resources, e più in generale in campo aziendale, con una diffusione senza precedenti. Abbandonare vecchi modelli di gestione manageriale a favore di metodi alternativi di concepire il lavoro, è sì un passo coraggioso verso l’ignoto, ma è un passo che si sta dimostrando sempre più essenziale per la sopravvivenza delle aziende.

Ritengo che tutti questi concetti siano diventati ancora più attuali in questo periodo storico segnato da una pandemia che ha obbligato l’adozione del lavoro remoto, forzando le aziende a rivoluzionare il loro assetto e i loro strumenti molto rapidamente.
Allo stesso tempo, ha aperto una finestra nella mente degli individui, che trovandosi a lavorare in solitudine e senza la costrizione dell’ufficio o della scansione rigida del tempo, hanno probabilmente sperimentato una maggiore libertà di pensiero e d’azione, dalla quale è difficile fare marcia indietro.

Non è un caso che proprio durante questa particolare fase, Interlogica abbia avviato un ciclo di incontri digitali incentrati sul concetto di Umanesimo digitale; un modo proficuo di creare un terreno di confronto su quanto sperimentato sul campo, relazionandoci con altri professionisti e realtà sintonizzate su frequenze simili. Più scaviamo e più ci rendiamo conto di quanto ci sia da sviscerare, di quante voci si esprimano, al punto da sfiorarci il pensiero che ciò che ieri abbiamo considerato innovativo, oggi sia già storia passata.

LE PERSONE AL CENTRO

La coscienza che le persone hanno di loro stesse e dell’ambiente dove operano aumenta, e con essa la ricerca del benessere psico-fisico e della realizzazione personale.
Con il venire meno dei bisogni legati alla sussistenza primaria, possiamo finalmente dedicarci a soddisfare bisogni più ‘alti’ legati al nutrimento dell’essere, della mente, alla crescita della conoscenza e della creatività. Noi come esseri umani abbiamo un’esigenza fondamentale che è quella dell’autorealizzazione, ossia di realizzarci come individui, trovare la nostra essenza e coltivare i nostri talenti; solo se seguiamo questa strada, possiamo sentirci davvero felici e appagati. Lo psicanalista Massimo Recalcati parla di desiderio come forza che spinge l’uomo a cercare e ampliare i confini del proprio universo, il desiderio caratterizza ciascuno nella rispettiva unicità; la pulsione del desiderio spinge l’uomo a concretizzarla in infiniti modi diversi, e da lì nasce la creatività umana.

Considerate in quest’ottica, le organizzazioni che hanno davvero a cuore la realizzazione delle persone – che non si accontentano cioè di soddisfare i meri bisogni primari, ma sanno dar spazio e voce all’emergere del desiderio e della creatività che ne consegue – hanno più probabilità di crescere nel tempo, e contemporaneamente svolgono una funzione di evoluzione sociale molto più elevata della semplice produzione di beni.

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