FELICITÀ AL LAVORO, PERCHÉ DOVREMMO SMETTERE DI CERCARLA

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Sembra un controsenso, ma è così. Dovremmo smettere di cercare la felicità nel luogo di lavoro. Ne sono persuasa da qualche tempo e, considerata la moltitudine di articoli sul tema di cui è popolato il web, mi sento anche una voce fuori dal coro.

Dal 23 al 27 settembre 2019, si celebra la “Settimana internazionale della felicità al lavoro” e io che mi occupo di benessere e di persone nei luoghi di lavoro, dovrei essere la prima a celebrare questo evento. Non è così, e vi racconto perché.

Penso che cercare la felicità al lavoro sia sbagliato. È ingannevole come una sorta di miraggio.

Mi spiego meglio.

AMMETTIAMOLO, TUTTI INSEGUIAMO LA FELICITÀ AL LAVORO

Tutti vorremmo passare dal “Thank God it’s Friday!” al “Wow! Tomorrow is Monday!”. Ci rende più ottimisti, più aperti e disponibili verso gli altri, più creativi, più capaci insomma di affrontare le sfide e le avversità.

Ma come dimostrano le ricerche di Gallup pare che solo il 15% di chi lavora sappia come fare. E, dato che ciascuno di noi nella vita trascorre in media dalle 70.000 alle 90.000 ore sul posto di lavoro, va da sé che interrogarci sul perché solo in pochi abbiano capito come fare, è il punto di partenza.

INSEGUIRE LA FELICITÀ CI RENDE INFELICI

Il trucco c’è e corrisponde esattamente al motivo per cui io credo che inseguire la felicità al lavoro sia un clamoroso errore; se la impostiamo come obiettivo principale possiamo stare certi che finiremo per sentirci esattamente al contrario, ovvero infelici.

Perché? Per due motivi. Uno, la felicità, come tutte le emozioni, è un sentimento momentaneo, fugace e, due, perché non c’è rapporto di correlazione tra il non essere felici e l’essere infelici.

QUAL È LA CHIAVE ALLORA?

L’ha colta bene Emily Esfahani Smith, giornalista e autrice del libro “The Power of Meaning: Finding Fulfillment in a World Obsessed with Happiness”: sebbene le condizioni di vita e di lavoro stiano migliorando quasi da ogni punto di vista, molte persone si sentono disperate, depresse, sole. Gli studi dicono che c’è un senso di vuoto a tormentare le persone, e non è necessario soffrire di depressione per avvertirlo. E dicono anche non è relativo alla mancanza di felicità. Le persone vivono semmai un vuoto di senso, di significato, di scopo.

Emily si è accorta che quel 15% di persone che si professano motivate e felici al lavoro si impegnano ogni giorno nel dare un senso a ciò che fanno e al proprio obiettivo professionale e riescono a raggiungere in maniera efficace una percezione di benessere duratura nel tempo.

COSA STIAMO VERAMENTE CERCANDO QUANDO SOSTENIAMO DI “INSEGUIRE IL SENSO” AL POSTO DELLA FELICITÀ?

La ricerca del senso e quella della felicità si differenziano, secondo lo psicologo Roy Baumeister, su 5 aspetti principali:

  • Diversamente dalla felicità, il senso può esistere e resistere anche in condizioni sfavorevoli, di fatica e di disagio. Quando facciamo qualcosa in cui crediamo fermamente (aiutiamo un collega in difficoltà, lavoriamo in squadra, ci adoperiamo per la salvaguardia dell’ambiente, solo per fare qualche esempio) la frequenza dei sentimenti positivi e negativi, che comunque ci sono e si alternano, è di fatto irrilevante. Andiamo comunque dritti verso l’obiettivo. Questo non accade con la persecuzione della felicità che invece è direttamente correlata con la soddisfazione dei nostri bisogni e desideri.
  • Il senso che attribuiamo alle nostre azioni riflette la nostra scala dei valori, diversamente dalla felicità che è uno stato d’animo composto di attimi fugaci. Il senso, inteso come significato profondo delle nostre azioni, rappresenta invece tutto il nostro vissuto, e per questo abbraccia un arco temporale lungo che tocca passato, presente e futuro. E per questo è più duraturo.
  • La relazione positiva tra colleghi è ricca di significato, contribuisce a generare benessere immediato e a migliorare la vita sociale sia per chi dà, sia per chi riceve, ed è capace di prosperare nel tempo. La felicità è solo una conseguenza di tutto ciò.
  • Sfide, fatica, stress, conflitti. Nulla hanno a che vedere con la felicità, ma sono parte integrante di qualunque ambiente lavorativo. Diventare consapevoli che non si possono eliminare, ma che è possibile imparare ad affrontarli in maniera efficace, rientra nella ricerca di un senso e di un significato piuttosto che nella ricerca di una sensazione.
  • Quando ci dedichiamo a quello che ci piace,  a guidarci è il bisogno di esprimere la nostra identità personale e il nostro modo di essere in quel momento. La felicità è un fattore consequenziale di “realizzazione del sé”.

Bene, una volta capito che per essere felici nel lavoro è necessario cercare un significato nell’operato quotidiano, una domanda sorge spontanea…

LA DOMANDA È: COME SI FA?

Lo psicologo Pninit Russo-Netzer ci suggerisce 4 strumenti pratici e alla portata di tutti per allenare la ricerca del proprio “perché”:

  1. Tieni un diario dei tuoi progetti e non smettere mai di farti domande. Quanto ti senti soddisfatto di quel particolare aspetto del tuo lavoro? Che cosa hai fatto fino ad oggi per migliorarlo e che cosa non ha funzionato? Che cosa potresti fare di diverso?
  2. Cerca sempre la coerenza tra ciò che fai e i valori in cui credi. Se pensi che l’errore sia propedeutico al miglioramento, allora non giudicare i colleghi che sbagliano, non deriderli e non parlare male alle loro spalle. Offri il tuo supporto e condividi le tue esperienze.
  3. Concentrati sulla qualità delle relazioni con i tuoi colleghi e con i superiori, prima che sui risultati. Questi ultimi sono fortemente influenzati dal tipo di relazione su cui poggiano; se i rapporti non funzionano anche il risultato ne risentirà.
  4. Promuovi il tuo lato migliore. Mettiti in gioco, racconta chi sei veramente e in che cosa credi. Non significa nascondere le tue debolezze, ma mettere a disposizione dell’organizzazione il tuo talento e le tue potenzialità in modo che tu possa essere apprezzato per ciò che puoi dare. Sapere di avere il potenziale utile alla tua organizzazione sarà il motore verso il miglioramento delle tue debolezze.

RINTRACCIARE IL SENSO, ANZICHÉ RINCORRERE LA FELICITÀ, HA UN PREZZO

Servono impegno, allenamento, capacità di accettare gli errori nostri e degli altri. Significa sostituire il “chi è stato” con il “che cosa è successo e perché è successo”.

Richiede auto riflessione, sforzo e capacità di affrontare la frustrazione. Ma imparare ad affrontare con consapevolezza le situazioni difficili al lavoro porterà alla felicità con qualche probabilità in più, senza sforzo.

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