INSIDE SMART WORKING

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Stiamo vivendo in un periodo storico che ha dato l’avvio ad un’evoluzione del lavoro che dissolve muri e pone nuove sfide. Ma il lavoro da remoto non è fatto solo di strumenti, piattaforme e tool che, certo, sono indispensabili per far andare tutto “liscio”; è fatto di relazioni, di comunicazioni, di affiatamento del team.

Noi, già allenati a sistemi di lavoro agile, e abituati a tool di comunicazione e condivisione, abbiamo goduto di un passaggio indolore al full remote, ed è stato talmente veloce che quasi non ce ne siamo resi conto: in men che non si dica il nostro appartamento si era trasformato nel nostro ufficio. Inutile sottolineare che, in tutto ciò, lo spirito con cui stiamo lavorando ora non può essere lo stesso di sempre.

Ma… la verità? Abbiamo scoperto che riusciamo a fare di più e con più efficienza, e ad essere allineati costantemente nonostante le distanze. I rapporti di fiducia costruiti tra le mura di Interlogica hanno aiutato noi tutti a raggiungere insieme obiettivi che ci permettono di continuare a generare valore, per noi e per gli altri. Non è sempre tutto facile, le nostre emozioni hanno subito una centrifuga elevatissima, inoltre ci mancano i colleghi, le risate le battute, la pausa caffè.

Eccoci, questi siamo noi, alcuni di noi, ciascuno con la propria esperienza e la propria quotidianità.

MATTEO MONTAGNER
Project Manager

Sono quasi quattro settimane che sperimento il cosiddetto “smart working”, settimane in cui posso svegliarmi e fare la battuta “Va bene io vado al lavoro allora!” indicando dalla camera da letto il tavolo del soggiorno a pochi metri di distanza, dove ad attendermi, accanto al pc, ci sono uno o due assistenti pelosi (ho due gatti).

Una delle cose più importanti che ho capito è che smart working non significa solo lavorare da casa con delle tecnologie abilitanti: la connessione alla rete, i software e le tecnologie sono la base della piramide di Maslow di questo nuovo modo di lavorare.

Lavorare in smart working assomiglia a una partita a battaglia navale, con le videoconferenze, e le chat aziendali, ma gli strumenti tecnologici non consentono di vedere tutto quello che si cela davvero dietro al monitor del tuo laptop, e richiede per certo lo sviluppo di un nuovo insieme di soft e hard skill, un mondo virtuale nel quale l’utilizzo corretto di tutto lo spettro delle emozioni trasmissibili attraverso gli emoji risulta probabilmente più importante dell’igiene personale… anche se per ordine mentale io consiglio comunque di ricorrere alle docce e di mettere una camicia ogni tanto ;-).

Imparare a lavorare in smart working significa per molti versi re-imparare a lavorare, significa cambiare forma mentis, cambiare radicalmente approccio. Fino agli anni ’50 c’erano persone, note come “Knocker-uppers”, che come lavoro bussavano a porte e finestre per svegliare la gente al mattino. Inizialmente le sveglie costavano molto, ma quando diventarono più economiche e affidabili questo lavoro si estinse.

I bussatori non furono sostituiti con una macchina per bussare alle finestre. Abbracciare lo smart working, farlo entrare davvero nelle nostre vite, significa comprendere il tempo in cui si vive e i cambiamenti che porta con sé.

ALESSANDRA SCOMPARIN
HR Consultant

Io, Orione e il Covid-19.
Vi presento Orione. No, non la costellazione. Orione è il giardino del condominio in cui vivo. Ci voleva il Covid-19 e lo smart working forzato perché mi accorgessi di lui.

Del resto, competere con la Restera è sempre stata per Orione una battaglia persa in partenza.
Chi abita a Treviso sa di cosa parlo. La Restera è un’oasi per runners, ciclisti, camminatori e per chiunque ami stare all’aria aperta in qualunque stagione dell’anno. Non ce n’è per nessuno, non esiste parco, giardino pubblico o privato come Orione, che possa eguagliare il lungo percorso che da Treviso porta fino alle porte di Jesolo seguendo il corso del fiume Sile. La Restera è come la Marca Trevigiana: se la vedi ti innamori. Ma come la Marca anche la Restera in questi giorni è zona off limits.

Ed ecco che come per magia rispunta Orione, quel giardino che io e gli altri condòmini abbiamo snobbato per 17 anni. Spavaldamente ignorato pur pagandone le spese di manutenzione. Tanto, c’è la Restera. Oggi ci accorgiamo che è una risorsa, un prezioso angolo di paradiso, un rifugio in tempi difficili dai quali non sappiamo quando usciremo. Rigeneratore di pensieri e caricatore di batterie. E con un certo imbarazzo ammettiamo di essere fortunati: c’è chi non ha nemmeno un terrazzo su cui affacciarsi. Noi abbiamo un’area di 1.200mq. Scusate se è poco.

Ed è così che riempio le pause tra una video call e l’altra. Nei pomeriggi assolati di una primavera sbocciata in anticipo stacco, indosso le scarpe da corsa e scendo le scale. Orione mi aspetta.

MAURO BOMPADRE
Product Owner

Dopo averne parlato spesso, anche a vanvera, da un po’ di tempo siamo tutti in smart working. Come la sto vivendo: innanzitutto consideriamo che siamo più che altro agli arresti domiciliari 🙂 e che in generale lo smart working non significa “lavorare da casa”. Significa rendere più produttivo e meno stressante il tempo di lavoro slegandolo dai vincoli geografici, dall’orario scandito dal classico orario “nine to five”, e dalla produttività legata a obiettivi e valore, più che dal tempo passato sulla sedia.

Personalmente ho notato che si lavora molto di più e meglio. Questo probabilmente è legato al fatto che opero in un’azienda di servizi ICT e ciò mi consente di avere “l’impianto di produzione” a disposizione ovunque sul mio notebook. Alcuni aspetti negativi sono la mancanza di contatto personale con i colleghi (la “vita lavorativa” è fatta anche di quello) e, a volte, le sessioni di lavoro in gruppo (specialmente quelle di analisi e brainstorming); alcune modalità di lavoro dovrebbero svolgersi in una stanza davanti ad una whiteboard, in presenza “fisica” e, insomma, nelle condizioni ideali per cui una conversazione “fatta di persona” non è mai completamente sostituibile da una collaborazione virtuale.

In definitiva penso che ormai il modello, almeno per le aziende di servizi ad alto valore aggiunto, si sia definitivamente affermato come il più efficace e personalmente mi piacerebbe continuare così, suddividendo il tempo di lavoro in 40% smart working, 60% presenza in ufficio.

È probabile che ciò implichi un piccolo overhead dovuto a nuove metriche e strumenti di coordinamento, tutto sommato un piccolo prezzo da pagare per un aumento di produttività che, soprattutto per i team di sviluppo software, è innegabile.

Ultima nota: sarei curioso di verificare i livelli di PM10 nelle nostre città in queste settimane. Credo si confermerebbe il fatto che adottando stili di vita e di lavoro individuali “intelligenti”, contribuiremmo senza troppi sforzi a risolvere problemi epocali come quello dell’inquinamento.

Ultimissima nota: le buzzword… quando si parla di “smart working” si adotta un anglicismo che sostituisce un concetto non chiaro, e non è mai un buon segnale. Sapremo di lavorare in maniera intelligente quando “lavoro in smart working” sarà sostituito semplicemente da “sto lavorando”.

FULVIO ALESSIO
Senior Software Analyst and Developer

E chi l’avrebbe mai pensato!
Chiuso in casa, proprio io che non saltavo una domenica per andare a camminare in montagna all’aria aperta!

Che fare allora? Ci si rimbocca le maniche e si rivoluziona la giornata!
Niente auto, niente treno, niente bici: ci si sposta da una stanza all’altra e si è già pronti per lavorare.
Fortunatamente la mia azienda è già predisposta per lo smart working, l’avevo provato più volte e non mi sono trovato impreparato.
Il mio team è già decentrato, quindi il passaggio ufficio-casa è stato meno traumatico del previsto. Certo, mi manca il contatto umano, il confronto faccia a faccia che genera scintille di idee… Ma le varie chat sopperiscono anche a questo, e le modalità agili aiutano a tenere il team aggiornato e sempre “sul pezzo”

Nella speranza che tutto torni come prima, meglio di prima, non posso far altro che ringraziare l’azienda per la visione “qualche passo avanti” che ha del futuro e che ci ha permesso di riorganizzarci in meno di una giornata.

Never give up!

EVA MARINELLO
CFO

Una giornata di sole.
Il mio smart working, nel primo giorno di isolamento generale di tutta Italia, è stata un’esperienza completamente fuori dall’ordinario.

Mi trovavo da diversi giorni fuori casa e fuori regione, in un meraviglioso angolo sperduto in mezzo all’Appennino tosco-romagnolo. Un posto molto particolare, costruito con la roccia e circondato da boschi e ruscelli, in cui, oltre al rumore dell’acqua e del vento, senti il gallo che ti sveglia, il cane che difende la sua casa, l’asino e i cavalli che si schiariscono la voce nel pascolo.

Così, quella mattina, mi sono messa al lavoro con il mio pc e un po’ di questioni lavorative calde sul tavolo, quasi come ogni giorno, se non fosse che a fianco a me ho trovato delle nuove colleghe: una ragazza di prima liceo che seguiva la lezione di inglese in video conferenza e una ragazza delle medie che faceva i compiti di grammatica sul suo quaderno. Di colpo sono tornata indietro di qualche anno, in mezzo alle dinamiche tra studenti e docenti, alle interrogazioni e ai compiti da consegnare al prof.

Mentre in call conference discutevo di numeri e contratti, notavo le difficoltà degli insegnanti nel gestire una classe di studenti da remoto e la buona volontà, che ambo i lati, veniva messa per superare i limiti dei vari sistemi utilizzati (dal registro elettronico, alle piattaforme di video conferenza prive di gerarchia e quelle per la messaggistica).

Il tempo volava come in ufficio, una serie continua di call, chat ed e-mail, senza nemmeno il rito della pausa caffè.

La giornata lavorativa è finita poco prima di cena, con i proprietari di casa rientrati esausti dopo averla trascorsa a curare gli animali dell’azienda agricola e nel bosco a raccogliere la legna. Mi guardavano come se fossi un alieno, erano sconcertati dal fatto che avevo trascorso tutto il giorno davanti ad uno schermo luminoso senza essermi goduta il sole della giornata.

Dopo quel lunedì impegnativo, nella normalità delle cose, sarei rientrare a casa stanca e affamata, senza alcuna ulteriore riflessione, ma la particolarità della situazione mi ha fatto pensare.

Mi piace il mio lavoro e non penso di poterne fare a meno, tuttavia estraniarsi così tanto mi fa dubitare sul senso di questo mondo dinamico, fuori controllo, che fa correre tutti in modo ansioso, facendoci perdere il contatto e il ritmo con ciò che di più bello abbiamo: la natura.

ENRICO VETTORI
Frontend Developer

Piccola premessa: è la prima volta in vita mia che provo il remote working.

Sono rimasto “stranito” i primi 2/3 giorni di lavoro da casa: prendere l’auto per recarsi a lavoro e bere il caffè in compagnia erano cose che ormai davo per scontato durante il corso della settimana e, in testa mia, immaginavo che lavorando da casa ci fosse anche un calo di produttività.

Mi sono ricreduto, fino ad ora l’ho trovata un’esperienza per lo più positiva: i contatti con i colleghi non mancano e il lavoro in team procede come se fossimo in ufficio.

La mancanza che sento di più è il contatto “fisico” dei colleghi, il potersi avvicinare per chiedere informazioni/aiuto e anche lo scambiarsi la battuta per alleggerire il lavoro.

BARBARA CALDERAZZO
Digital Marketing e Communication Specialist

Home Working Mama è tornata!
Sveglia posticipata di un’ora, colazione con Leo, il mio piccolo che cresce alla velocità della luce, un saluto e si “esce” per andare al lavoro.
Ebbene sì, nonostante sia in home working, io esco per andare al lavoro!
Esco dal portone di casa, faccio due rampe di scale ed entro nel mio ufficio accolta dal silenzio e dalla luce del sole.
Il mio è un ritorno a un’esperienza già vissuta, ma questa ha un sapore molto diverso: il sapore dolce di potermi svegliare con il mio bimbo e farlo addormentare tra le mie braccia al pomeriggio, la felicità di evitare ben 4 ore di viaggio tra andata e ritorno dall’ufficio; tutto ciò misto al gusto un po’ amaro del lavoro solitario, che ha il lato positivo di far apprezzare maggiormente la compagnia dei tuoi pazzi colleghi. Sinceramente non pensavo potesse mancarmi così tanto l’ufficio, ma è così.

In relazione all’organizzazione delle attività da svolgere, lavorare da casa non è una novità per il mio team, perché da almeno un paio d’anni qualcuno di noi, a rotazione, si trova ad essere in video presenza. Siamo piuttosto rodati e ci risulta semplice entrare nelle logiche dei video daily sprint, del video sprint planning, e del video meeting, oppure essere allineate in chat per feedback o per condividere le idee.
Siamo fisicamente lontane, ma viaggiamo all’unisono verso lo stesso obiettivo.

GIANMARCO NALIN
Full stack Developer

L’inizio dello smart working “forzato” non mi ha colto impreparato; avevo già avuto modo di usufruirne in altre occasioni e in altri contesti. La sua durata però potrebbe risultare una sfida: da animali sociali quali siamo, sentiamo la mancanza del contatto delle persone con le quali siamo soliti bere un caffè magari raccontandosi, ancora assonnati, le ultime novità.

Nonostante ciò, i legami si mantengono e si rafforzano grazie alle call di discussione, ai coffe meet e alle chat, facendo crescere i team, sia dal lato organizzativo che nei rapporti.

La mia esperienza si può però descrivere meglio grazie alle risposte ad alcune semplici domande: lo rifaresti? Assolutamente sì; per un periodo così lungo? Assolutamente no.

Non pensavo di ritrovarmi a dirlo ma, in fondo, l’ufficio mi manca.

ILARIA BELLIO
Accountant

Erano le 21:30 di sabato 7 marzo 2020 quando la provincia di Venezia venne dichiarata ZONA ROSSA e tutto si fermò – “Bar, pub, ristoranti chiusi, attivi solo alcuni servizi indispensabili, consigliato lavoro Agile”.

Dal giorno stesso e quello successivo, Ia sede di Interlogica è rimasta aperta per consentire a tutti noi il ritiro dell’ulteriore attrezzatura necessaria per lavorare da casa nei giorni a venire.
Sì perché, per fortuna, lo SMART WORKING, in Interlogica, lo stavamo sperimentando già da qualche tempo.

La mia esperienza.
Faccio parte del Team Finance, assieme ad altre due colleghe – Eva e Martina – e a ben pensarci parlare di Smart Working in questo settore può sembrare un paradosso. Inutile dirlo, ci sono alcuni lavori più adatti a tale modalità altri meno. Senza dubbio il nostro non è un tipo di mansione “nativa digitale”.
È proprio come lo potete immaginare, un grande armadio pieno zeppo di faldoni cartacei e scrivanie inondate di documenti.
Così, giusto per organizzarci al meglio, i primi due giorni della settimana successiva, li abbiamo trascorsi in sede a recuperare quanto di più necessario, poi #TUTTEACASA.

Ed eccomi qui dopo parecchi giorni di isolamento, quasi mi ci sto abituando.
La sveglia suona più tardi e i ritmi rallentano.
Faccio colazione e, dopo aver dato da mangiare al mio fedele compagno di quarantena (Noah, il mio gattino), ancora in pigiama e con i capelli arruffati, accendo il pc e inizio a lavorare.

Il tempo passa velocemente, la to-do list è sempre piena di cose da fare e, grazie alla tecnologia odierna, ad ogni evenienza è possibile, in pochi secondi, dar vita ad un “ufficio virtuale”, quasi facendo entrare nelle proprie case i colleghi, tramite video call.

Riflessioni personali.
Inutile dirlo, i pensieri e le preoccupazioni ad oggi sono molti. I contagi aumentano giorno dopo giorni, molte persone sono in cassa integrazione, molte attività commerciali si vedono costrette a chiudere, i mercati crollano, insomma, come ce la caveremo? Quando finirà tutto questo? Credo che nessuno abbia la risposta, perché la battaglia più importante è salvare l’OGGI, giorno per giorno, e prepararci a quello che sarà.

ALBERTO BIANCHI
Data Scientist

Smart working (detto anche “ah ma puoi lavorare da casa?”).
Nuovi lavori, nuove metodologie. Che poi non è nuovo, né il mio lavoro né la metodologia. In qualità di Data Scientist il mio lavoro è quello di analizzare dati per estrarne informazione utili. La mia professione è stata delineata nel secolo scorso e definita con maggior rigore ormai vent’anni fa. Per quanto riguarda la modalità dell’home working, invece, la Finlandia ci surclassa dalla metà degli anni ‘90.
Tuttavia, nonostante le riposte di rito al titolo della mia professione siano: “Eh?” o “E quindi, cosa fai in pratica?”; dopo qualche domanda di approfondimento la replica è: “Ma quindi tu potresti anche lavorare da casa?”.
Ebbene sì, e come me anche gran parte dei miei colleghi; in effetti di siti che offrono lavori a distanza in campo informatico ne è pieno il mondo.

Ma come si sviluppa una giornata in ufficio e come una a casa?
Partiamo dall’ufficio. Sorvolando sul tempo necessario per il tragitto casa lavoro (3 ore al giorno nel mio caso), la giornata è più o meno questa: il team si riunisce per fare il punto dei risultati raggiunti il giorno precedente e pensa a dove indirizzare il proprio effort per la giornata attuale. Terminato l’allineamento, che non sempre si svolge perché i compiti son già definiti, ognuno si mette davanti al proprio computer a lavorare. Si interloquisce col team in caso di dubbi, ma buona parte del lavoro è “solitario”, anche perché spesso il nostro team può lavorare allo stesso problema affrontandolo da punti diversi rendendo di fatto possibile lavorare in parallelo.

E da casa? Beh, cambia poco. Capiamoci… Probabilmente per me è stato più semplice che per altri. Da un lato, Interlogica ha sempre avuto nel suo DNA quella spinta all’innovazione e la flessibilità mentale necessari ad un salto del genere. Dall’altra, e qui si tratta di problemi infrastrutturali, la mia disponibilità di accesso a un’ottima connessione domestica ha sicuramente reso possibile tutto questo senza sforzi.
Sta di fatto che la giornata tipo non è cambiata. Solito allineamento, solito lavoro individuale e solito momento di confronto. Chiaramente non si alza la testa dal proprio monitor per parlare al collega di fianco, ma è sufficiente schiacciare un tasto nella conversazione privata con una persona e si è subito face to face. Grazie ai nostri sistemisti, inoltre, possiamo agire sulle risorse di Interlogica come se fossimo in ufficio: il nostro team ha a disposizione un server di calcolo a cui possiamo accedere senza problemi da remoto tramite una VPN.

In queste settimane abbiamo anche fatto due colloqui, sempre a distanza. I candidati erano giovani e non hanno sofferto l’estrema digitalizzazione della riunione. La stanza virtuale per i colloqui ha ospitato fino a cinque persone contemporaneamente e non abbiamo mai avuto problemi di sorta durante gli incontri.

Quindi, posso lavorare da casa? La riposta è sì, senza alcun problema! Ma non la terrei come unica modalità di lavoro perché comunque il clima che si respira in Interlogica è sempre gioviale e alla lunga un po’ l’ufficio manca. Detto ciò, credo che mezza settimana in smart working possa essere solo valore aggiunto per i dipendenti: meno stress e maggior produttività.

MARTINA DE PIERI
Accountant

Che strano no?!

Sembra quasi irreale il fatto di essere obbligati a restare a casa con la sola possibilità di qualche sporadica uscita da queste 4 mura, le stesse che durante un periodo “normale” della nostra vita sono così desiderate, ma che adesso sembrano quasi strette.

Nel primo periodo di restrizioni sembrava una fantasia che il nostro ufficio, l’amministrazione, potesse lavorare da casa… e quel mondo di carte e di scartoffie diventare completamente virtuale (o per la maggior parte almeno).

Paradossalmente ce l’abbiamo fatta, è stato un gran gioco di squadra quello di Eva, Ilaria e mio. Abbiamo raccolto tutto il necessario, recuperato il più possibile volgendo un occhio verso le scadenze fiscali vicine e quelle future. Organizzandoci con call quotidiane, con la possibilità di “vederci” grazie agli strumenti che abbiamo in dotazione, e non tutti sono così fortunati ad averli.

Bisognerà stringere i denti un altro po’, e non sarà facile. Lo smart working ha, sì, cadenzato la mia vita (ma anche quella dei miei colleghi immagino) in modo quasi più calmo, facendoci assaporare quei momenti che viviamo con frenesia, e nel rispetto con il massimo impegno di tutti gli obblighi che il lavoro impone, ma a volte fa perdere il contatto che abbiamo con il mondo reale. Manca il vociare di sottofondo e lo scambio di chiacchiere e di battute che rende un ufficio vivo.

Cosa accadrà nelle prossime settimane? Spero che il contagio diminuisca e io farò la mia parte continuando a lavorare da casa perché voglio dare il mio contributo per arginare questa situazione così drammatica.
Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe, diceva Maria Teresa di Calcutta.

GIANLUCA SCACCO
Web Application Developer

Elaquarantena allora? Parlaci della quarantena.

E va bene.
Sono due settimane di quarantena, secondo i miei calcoli, ma potrei sbagliarmi perché il tempo passa in modo differente in regime di reclusione forzata, lo sappiamo bene io e Fernando.
Forse dovrei fare le tacche sul muro per tenere conto dei giorni, ma credo che Fernando si offenderebbe parecchio.
Fernando brontola e insiste per uscire, ma non si può, non si può!

Devo dire che la mia giornata passa abbastanza in fretta, perché con lo smart working – tenetevi forte, ma proprio forte – non è cambiato granché rispetto a prima.

Fernando ha appena fatto una smorfia e ha blaterato qualcosa, forse pensa che io sia troppo ottimista, chissà.
Lui vuole prendere un po’ d’aria fresca e rotolarsi sull’erba al parco. Eh sì, bravo Fernando, così poi finiamo di rotolare in terapia intensiva, bella idea proprio.

In azienda si stava sperimentando lo smart working già da diverso tempo, per cui per me non è affatto una novità, il nostro team continua a lavorare al progetto, ma c’è un certo grado di incertezza ovviamente, però diciamo che è quasi come se niente fosse.

Quasi, ovviamente.

Dal punto di vista lavorativo sono già abbastanza allenato a lavorare da casa – a parte quando i vicini mettono su qualche aria di Pavarotti a volumi da stadio – mentre è chiaro che dal punto di vista umano stare tutti sti giorni in casa è abbastanza deleterio.

Comincio a pensare a com’era la vita là fuori un tempo: ottima grafica ed effetti speciali, la trama invece lasciava un po’ a desiderare.
Comunque sono fortunato perché tutto sommato Fernando non mi disturba più di tanto, è solo un po’ agitato perché lui è un tipo che ama stare all’aperto, a sentire la pioggia sulla faccia e cose del genere. Vai te a capire.

In quarantena mi è piuttosto facile tenermi occupato:

  • la routine lavorativa;
  • le ottomila ore su Netflix (guardatevi voi 3 serie di Narcos in una settimana, poi vediamo se non parlate il rude spagnolo dei narcotrafficanti);
  • le furenti suonate di basso elettrico (con le cuffie e il cavo che raggiunta una certa lunghezza ti strattona);
  • le lezioni di improvvisazione teatrale in videocall (meravigliose nonostante il mezzo utilizzato);

Insomma, questo mix di cose mi mantengono sano di mente e positivo.
E se non dovesse bastare tutta questa tecnologia a disposizione… ci sarà sempre la voce di Fernando nella mia testa a tenermi compagnia, basta non dargli troppo retta.

SIMONE RANZATO
Software Developer

Pandemia.
A quanto pare, serviva un evento del genere per muovere e smuovere il mondo, per mettere in discussione un bel po’ di cose.

Oddio, sia chiaro: probabilmente ne avremmo fatto volentieri a meno, vista la pesante piaga che si sta rivelando a livello mondiale. Ma cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, con quello che di buono può aver portato tutto ciò.

Iniziò tutto, almeno per me, il 24 febbraio: siamo ormai alla quinta settimana di fila di lavoro da casa, ad eccezione di due capatine in ufficio per recuperare materiale vario.
Giorni lavorativi in un mix di “amore & odio”, immerso in quello che alcuni chiamano “smart working”.

La sua filosofia prevede di ripensare in maniera smart ( = intelligente ) lo svolgimento delle attività lavorative, in termini di orario, luogo, ecc.

Quest’attuale emergenza ha spinto molte aziende a dislocare le postazioni degli uffici, a fare in fretta e furia quel salto verso il “lavorare altrove”, in un sistema ancora rigido e vecchio in materia. Un passo necessario per arrivare a quello che sarà il vero lavoro smart.

Al momento, nello specifico di “intelligente” non ci sta granché in realtà; ma va assolutamente lodata l’ “intelligente” rapidità di intervento di Interlogica, che non ci ha pensato due volte a dare disponibilità, strumenti e possibilità per realizzarlo.

Ma torniamo a noi: il lavoro da casa.
In effetti è fantastico che la mia sveglia si sia posticipata di quasi due ore.
È fantastico che il traffico mattutino sia ormai solo un lontano (anche se ancora ben impresso) ricordo, perché fortunatamente il tragitto “camera-cucina-scrivania” è un percorso tranquillo.
È fantastico che si riescano a fare tutte le attività anche comodamente da casa. Questo ci fa capire come l’ufficio, inteso come contenitore, non sia così essenziale come lo si pensasse, in fin dei conti, perché gli strumenti per sentirci vederci e lavorare assieme ci sono e sono più che validi.

C’è però un retro della medaglia. Il prezzo da pagare non è poco: ne perde il rapporto umano.
Quello scambio di battute che ti fa sentire meno solo; le chiacchiere davanti all’ennesimo caffè; il risolvere un problema fianco a fianco, a quattro mani, davanti alla tastiera.

La via è di sicuro interessante, auspicabilmente da seguire e adottare anche quando quest’emergenza sanitaria sarà rientrata. I benefici reali non si possono infatti sottovalutare, in particolar modo l’impatto ambientale che ne deriva, pensando su larga scala.
Anche se, in tutta onestà, confido che in futuro si possano evitare esperienze di “smart working” così lunghe, perché a mio avviso risultano essere troppo alienanti.

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