DAL TERMOSTATO ALLA NAVE SPAZIALE, CAPIRE COME ABBINARE UN LAYER DI INTELLIGENZA AL PROPRIO PRODOTTO

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IOT È UNA GALASSIA DI TECNOLOGIE CHE INIZIANO AD AVERE UNA CERTA MATURITÀ, REALMENTE IMPLEMENTABILI IN AZIENDA E IN GRADO DI GENERARE FATTURATO

IoT è il punto di congiunzione tra la rete (e l’enorme potenziale che la rete sta imprimendo al nostro mondo) e le cose. L’Internet delle cose è sostanzialmente la capacità dell’essere umano di installare, posizionare, collocare sensori e attuatori nel mondo circostante – in qualsiasi cosa possa venire in mente – e tramite questi, ottenere quello che è il petrolio della nostra epoca: i dati. Con una visione un po’ “alta”, si può brevemente definire una nuova forma di consapevolezza delle dinamiche del mondo che ci circonda.

I NUMERI DEL SETTORE, CON UN FOCUS SUL MANUFACTURING

Ci sono molte proiezioni intorno a IoT che contano la presenza di circa 30 miliardi di oggetti connessi entro il 2025 e di circa 50 miliardi nel 2030, ma sono indicazioni che per loro stessa natura rimangono nel campo dell’approssimazione. Nell’ultimo Report dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, uscito recentemente, viene fotografata con precisione la situazione del mercato IoT 2020 in Italia. Lo studio evidenzia una crescita e conferma l’aumento della diffusione della tecnologia intelligente nelle vite delle persone. Si parla di un giro di poco superiore ai 6 miliardi di euro con i settori della Smart Car, Smart Metering – sistemi che consentono la telelettura e telegestione dei contatori di energia elettrica, gas e acqua – e Smart Factory, a farla da padroni. Contesti come quello della Smart City, Smart Agriculture e Smart Health sono ancora marginali, ma con una grande prospettiva di sviluppo.

In questo contesto il mondo del Manufacturing rimane un fanalino di coda, perché di questi 6 miliardi, la fetta di applicazione vera e propria è stata del solo 7%, a cui si può aggiungere un ulteriore 9% se si considera anche il comparto della logistica.

Leggendo questi numeri si intuisce subito come il mercato italiano sia di per sé molto contenuto, e lo è maggiormente proprio nel settore del Manufacturing che, conti alla mano, raggiunge un misero 15% del totale. Non va quindi mancata l’occasione di investire in IoT che può fornire un vantaggio competitivo notevole e evitare il posizionamento da “ultimo della classe” in fatto di innovazione, a livello internazionale.

IOT COME ABILITATORE DI BUSINESS

Quella che sfugge alle imprese è, ancora oggi, una comprensione diffusa delle potenzialità e del valore dell’informazione generata dal dato, del fatto che IoT sia un enorme abilitatore dell’evoluzione e di nuovi modelli di business.

Le dinamiche di funzionamento di un’azienda sono molteplici, e non si tratta solo di quelle riguardanti le fatture o la rete commerciale, ma anche dinamiche di logistica, di approvvigionamento, di produzione, di linee di produzione, di difettosità, di tematiche di Quality Management, e così via. Nel momento in cui si iniziano a analizzare e comprendere queste dinamiche, e a raccogliere i dati provenienti da sensori e apparati, IoT abilita una visione più chiara e lineare permettendo di leggere i flussi di dati con nuovi significati.

IoT si compone di uno strato di “cose” che generano flussi di dati che vengono indirizzati verso grandi database, un passaggio che necessita di tutta una serie di parametri che lo rendano chiaro, sicuro e efficace.
Ed è proprio a partire dal database che nasce la possibilità di lettura e estrapolazione di insight da portare al management per “vedere con un occhio nuovo” e più accurato le dinamiche della realtà aziendale. Si tratta, riassunto a grandi linee, del concetto di IoT to Executive, ossia un percorso che dal sensore fisico all’informazione, consente la presa di decisione da parte dell’esecutivo.

iot to executive

I dati raccolti nel database possono, allo stesso modo, essere usati per alimentare forme di intelligenza software, come il Machine Learning o il Deep Learning, che ragionano sul dato iniziando a generare capacità predittiva o di svolgere azioni automatiche sulla base degli accadimenti dell’azienda. Si parla in questo caso di Enterprise Nervous System, una specie di sistema nervoso aziendale in cui il dato genera reazioni quasi istintive su sistemi software che modificano determinati comportamenti dell’azienda in modo autonomo.

IL LAYER DI INTELLIGENZA: SERVITIZATION, DA PRODOTTO A SERVIZIO

Nel comparto manifatturiero in particolare ci sono enormi opportunità che originano dai dati, ma c’è difficoltà a comprendere appieno l’importanza del cambiamento in corso. Avere, analizzare e far parlare i dati significa ottenere insight essenziali per mantenere l’organizzazione concorrenziale sul mercato.
Quando si parla di Data Driven Economy si sta esattamente mettendo in evidenza l’importanza di un’economia guidata dal valore del dato: correlarli porta alla luce informazioni vitali per il modello stesso di business, che ne può immediatamente beneficiare.

In questo momento, qualsiasi produttore di oggetti, dalla lavatrice alla caldaia, al treno, al termostato o alla nave spaziale, hanno tutti lo stesso bisogno: capire come abbinare al proprio prodotto storico, materiale, meccanico, elettronico, un layer di intelligenza.
L’intelligenza si raggiunge, per l’appunto, raccogliendo dati, aggiungendo attuatori e sensori all’oggetto, e spostando i dati su sistemi, locali o cloud.

Un famoso guru americano dice una cosa molto vera: ogni prodotto è una piattaforma di servizi da sviluppare, grazie all’IoT. Come cittadini e come consumatori abbiamo sicuramente in mente qualche esempio di Servitizzazione, ossia il passaggio di un qualcosa da prodotto a servizio.

I produttori manifatturieri sono in genere legati ad un mondo di elettronica e meccanica, ma con delle necessità che spaziano oramai molto oltre la mera produzione di un oggetto. Problema che può essere facilmente risolto costruendo attorno all’oggetto degli strati di servizi completamente digitali.

Se si guarda alla dinamiche di mercato ci si accorge come la situazione inizi a cambiare velocemente quando uno dei player più grandi imbocca una nuova strada. In questo caso quando comincia a mettere in atto una politica di Servitization, con la costruzione cioè di servizi digitali connessi. Il primo risultato che ottiene è quello di vedere i propri prodotti aprirsi progressivamente a sacche di potenziale valore. Questo perché i servizi digitali spostano l’equilibrio dalla costruzione del prodotto vero e proprio, che ad un certo punto diventa semplicemente una commodity da portare sul mercato per vendere i servizi aggiuntivi.
È in questo frangente che si verifica l’effettivo passaggio da produttori di oggetti a venditori/erogatori di servizi, con dei vantaggi competitivi importantissimi che costringono gli altri player alla rincorsa.

Facendo un esempio pratico. C’è il caso recente di un’azienda, con la quale stiamo collaborando, che si occupa della produzione di macchinari collocati nelle linee di produzione.
Questi macchinari producono una quantità enorme di piccoli componenti, vitali per una certa industry, che hanno la caratteristica di essere estremamente delicati da un punto di vista della qualità: non possono assolutamente uscire dalle linee di produzione con un difetto.
All’interno della catena di produzione sono già attivi dei sistemi di Quality Assurance, ma non sono sufficienti a soddisfare appieno le necessità di perfezione attesa. Ci siamo attivati con loro per costruire dei sistemi in grado di riconoscere le componenti difettose direttamente sulla linea di produzione. In questo caso entra in campo il Machine Learning che in maniera appropriata crea una Rete Neurale capace di identificare le componenti e trovare gli errori.

Succede che a livello centrale, dalle linee di produzione di diverse aziende che utilizzano questi macchinari, otteniamo dei dati relativi ai prodotti. Tutti questi dati arrivano a un Data Center che va appunto a formare una grande Rete Neurale. Una volta che questa Rete si è evoluta, viene spostata e copiata su Data Center periferici che stanno direttamente nelle varie linee di produzione.

Nello specifico qui si parla di riconoscimento ottico e di quella che viene definita Swarm Intelligence – Intelligenza di Sciame – informazioni che arrivano da più punti e vengono aggregate e alimentano da un’intelligenza centrale. Una combinazione di Edge Computing e Intelligenza Artificiale, un po’ come il modello Tesla, ma riprodotto nelle linee di produzione.

In definitiva, un esempio calzante di servizio aggiuntivo che una Rete Neurale può operare nel Quality Assurance. E a questo genere di logiche è possibile connettere innumerevoli tipologie di servizi e prodotti digitali aggiuntivi – è chiaro che bisogna iniziare con un prodotto per poter poi allargare la rosa dei servizi.

Il tema del valore del servizio richiede non solo un aggiornamento dei prodotti, ma soprattutto la revisione del modello di business; per fornire quei servizi è necessario sviluppare determinate competenze e organizzarsi di conseguenza. In questo senso, quando si parla di IoT, si fa riferimento a un necessario cambiamento culturale e di rotta. Essere una Service Company non è come essere un’azienda di prodotto, certo il prodotto si continua a produrlo, ma si possono aprire, come appena detto, nuove linee di business.

Per portare un altro esempio si può citare la questione della Manutenzione Predittiva che sta letteralmente sparigliando le carte in molti ambiti differenti. I motori delle macchine più evolute o degli aerei sono sensorizzati e grazie proprio alla prediction si ottengono informazioni relative allo stato dello stesso prevenendo e non curando l’eventuale problema.

Quindi, della piccola e media impresa, nessuno si deve sentire escluso. Una delle classiche motivazioni che si sentono più spesso, e in particolare dagli imprenditori più piccoli per “stare fermi alla finestra”, è che sono solo cose per grandi realtà. Non vero.
Con l’approccio modulare il tema è per tutti.

DA DOVE INIZIARE PER IMPLEMENTARE UN PROGETTO IOT?

Le tecnologie IoT vanno a trasformare sia lo spazio che le dinamiche del business, in grandi e piccole organizzazioni, le attività sul mercato e quelle di efficientamento, in ogni direzione.

Come succede nella stragrande maggioranza delle evoluzioni di business, un buon suggerimento, e comunque un buon punto di partenza, è la raccolta dei dati che si hanno a disposizione internamente.
Il primo passo è quello di riunirli all’interno di un unico “strumento” in grado di archiviare fonti dato anche non omogenee, come ad esempio un Data Lake (un repository per l’archiviazione di grandi quantità di dati nel loro formato nativo).

Si comincia con piccole sperimentazioni che impegnino budget contenuti, per lo meno in una fase iniziale, e che possano da un lato aiutare l’azienda a entrare nel mindset Data Driven e della generazione di valore tramite il dato, e dall’altro permettere di ottenere valori di ritorno testando effettivamente le ipotesi iniziali in tempi rapidi.

Uno dei vantaggi più incredibili dell’IoT nel momento in cui si iniziano a sviluppare dei progetti è l’evidenza di funzionamento: si osservano differenze in termini di bilancio, si riesce a generare valore effettivo, si raffinano i processi, si evolvono gli approcci.

Successivamente si può passare all’individuazione di altre fonti di dati utili, come ad esempio dati esterni, dati meteo, funzionamento dei fornitori esterni, logistica, etc. da poter correlare con quelli già presenti in azienda. A questo punto si attuano delle azioni di analisi che consentono di generare delle prime ipotesi di qualità.

In definitiva si tratta di sperimentare partendo da un caso pilota, un MVP. È una forma di pensiero che si applica all’informatica in modo praticamente globale, ma che è si colloca bene anche in questo ambito. IoT, inoltre, ha il pregio di essere un insieme di tecnologie e di approcci sufficientemente maturo da generale benefici reali in tempi sostenibili con risultati in termini numerici e con un impatto veramente vastissimo.

Per i progetti più strutturati, c’è sempre tempo e possono nascere in un secondo momento, quando in azienda si iniziano a intraprendere interventi a livello di infrastruttura – necessari – e a livello culturale.

Infine, attenzione a non imbarcarsi in progetti troppo impegnativi e complicati. A volte, la generazione a tavolino di grandi quantità di ipotesi e requisiti ha la contropartita di generare grandi progetti, ma privi di fondamenta. Per questo è preferibile lavorare a iterazioni e con progetti ridotti che possano di volta in volta dimostrarsi validi.

Inoltre, viviamo in un’epoca di rapide evoluzioni che rendono inefficaci i progetti di questo genere per il semplice fatto che il mercato muta a gran passo riscrivendo in corsa le regole del gioco.

COSA SERVE PER UN PROGETTO PILOTA

Per far partire un primo progetto pilota è necessario comporre lo strato fisico inserendo l’intelligenza attraverso sensori e attuatori: i sensori possono essere già inseriti nei vari macchinari industriali, e in questo caso si tratta di raccogliere i dati giusti, mentre gli attuatori sono deputati a ricevere il comando per compiere delle azioni.

Nei sensore in genere ci sono dei gateway, apparati che aggregano i dati e li trasferiscono al ricevente. Questi dati vengono memorizzati all’interno di un database grazie al quale si può verificare quali e quanti sono già a disposizione, e valutare quali altri sono eventualmente correlabili.

Una volta che il bacino di dati è rilevante si può cominciare col generare della reportistica da portare agli executive dell’azienda in una forma leggibile, in modo che funga da supporto alle decisioni. Chiaro, non si tratta solo di creare dei report o di vedere i dati del passato/presente in tempo reale su uno schermo – che comunque è già un punto di partenza non disprezzabile – ma di cercare dipendenze e relazioni che altrimenti non salterebbero all’occhio.
In questo caso si parla di uso proattivo del dato, cosa che appunto, con la reportistica tradizionale non si può ottenere in quanto vengono mostrate solo cose già successe.

Può quindi capitare che fornendo i dati di funzionamento della nostra azienda ad un algoritmo o a un’Intelligenza Artificiale e aggregando altri ulteriori dati presi da fonti esterne, si riescano a scoprire delle relazioni interessanti dalle quali partire per fare delle riflessioni. Situazioni che prima non avremmo scoperto e nemmeno saputo valutare nella giusta direzione, come ad esempio, si può rilevare che quando il clima è piovoso la produzione deve modificarsi e la logistica può subire al contempo delle ripercussioni.

Queste “intelligenze” consentono al dato di assumere forme imprevedibili, trasformando le informazioni in chiavi di volta e segnali di efficientamento in contesti specifici o movimenti di variazioni del business stesso.

Si può certo utilizzare anche lo storico di ciò che è accaduto per fare previsioni con un certo margine di accuratezza, sempre grazie all’IA che è in grado di imparare dal passato e consente di mettere nelle mani degli executive nuove opportunità. E a un certo punto, il software può diventare talmente esperto a maneggiare e intuire determinate dinamiche, da suggerire delle opzioni risolutive o migliorative talmente strutturate da poter delegare agli algoritmi il compito di svolgere determinate azioni.

EXPONENTIAL TECHNOLOGIES: IL DIGITAL TWIN

Per rimanere in tema di tecnologie innovative che stanno crescendo, uno dei cavalli di battaglia del momento è il Digital Twin: un approccio e un insieme di tecnologie che portano a costruire un modello digitale, un gemello, di qualcosa che esiste nel mondo reale.

Avendo la conoscenza di come funziona la specifica linea di produzione della mia azienda riesco a riprodurne una che non esiste nel mondo fisico, ma in quello digitale e si comporta esattamente allo stesso modo, perché ne vengono riprodotte le dinamiche.

Digital Twin ha moltissime applicazioni e consente di fare simulazioni, come nel caso di ipotesi di modifica di una parte della logistica oppure di un qualcosa da modificare nei magazzini o qualcos’altro nella linea di produzione, addirittura applicato all’intera azienda. Senza dover immaginare nulla, si ha la capacità di riprodurre lo scenario con il gemello digitale e comprendere come si ripercuotono le varie scelte. In relazione a determinate attività interne all’azienda, che sono auto sostenute e quindi non subiscono troppe interferenze esterne, si possono raggiungere livelli di accuratezza importantissimi.

Una frontiera affascinante e estremamente importante che riduce enormemente i margini di rischio. Non solo, il Digital Twin è anche una leva di trasformazione che porta con sé decine di applicazioni che permettono di rimodellare il business e consente di ridurre enormemente la variabile tempo misurata in mesi o settimane, non anni.

DATA DRIVEN ECONOMY: DALL’ASPETTO TECNOLOGICO A QUELLO CULTURALE

Quando si comincia a pensare di utilizzare il digitale per comprendere e evolvere il business si iniziano innestare dei meccanismi per cui l’azienda deve creare degli asset tra la propria organizzazione (le macchine) e i processi di trasformazione (costruire una capacità interna di rilevare l’informazione, pesarla e agire per utilizzarla nel modo migliore).
In questa fase si annida la componente più complessa, perché quando si va a “toccare” gli esseri umani tutto diventa un po’ più complesso.

Quando si parla di cambiamento ciò di cui si ha necessità sono strumenti, ma molti di questi strumenti sono culturali. Da un lato ci sono gli investimenti e la comprensione di dove collocare le fiches per dare il via all’evoluzione, dall’altro ci dev’essere la consapevolezza che bisogna fare ulteriori sforzi per introdurre paradigmi diversi, perché questa è la parte sulla quale poi ci si scontra in concreto.

È facile definire di iniziare a cambiare, comprare un software e aggiungere sensori, ma allo stesso tempo va curato l’aspetto culturale e abbracciati modelli di pensiero differenti: tecnologie e esseri umani generano scintille di cambiamento continuo.
Il tema della cultura manageriale, che prende il via da una lettura dei dati disponibili, si pone un obiettivo: una visione di business che non può prescindere da cosa fanno gli altri, dalla industry di riferimento e quindi deve avere una visione molto aperta.

Volendo fare un’iperbole, questa rivoluzione è talmente pervasa di tecnologie, che è la meno tecnologica di tutte, perché dietro c’è un cambio di paradigma nel come fare le cose, nel come arrivare al mercato e come creare valore.

IN CONCLUSIONE

Un progetto IoT è perfettamente alla portata delle PMI e di piccoli budget. Si possono cominciare a fare grandi cose iniziando dai dati che si hanno internamente e provando con dei piccoli esperimenti a imboccare la strada giusta.

All’inizio facevo riferimento ai numeri dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano che fotografano il settore del Manufacturing con delle quote di mercato abbastanza ridotte. Nel 2020, però, è stato il settore che in percentuale ha investito di più, crescendo maggiormente. Inoltre, certi strumenti legislativi disponibili negli anni passati hanno molto agevolato il diffondersi di tecnologie digitali (a onor del vero, per come questi strumenti erano stati strutturati, han favorito di più le grandi imprese).
Dopo alti e bassi, in questo frangente ci sono degli incentivi molto interessanti con il Piano Restart 4.0 che consentono anche alle piccole e medie imprese di avere delle agevolazioni.

A maggior ragione, concludendo, oggi c’è anche un contesto favorevole per investire in un progetto dati, che stanno già talmente cambiando il modo di concepire gli oggetti, da essere la nostra nuova elettricità, un nuovo motore di innovazione, di nuovi prodotti, di nuovi Servizi.

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Il testo è tratto da IoT to Executive, una chiacchierata tra Alessandro Fossato, CEO Interlogica, e Roberto Santolamazza, Managing Director T2i, primo appuntamento della serie IOT TALKS pubblicata sul nostro canale YouTube.

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