PAROLA D’ORDINE: GIOCO. LA MIA SERATA DI SERIOUS GAMING

da

Voglio cominciare dalla frase da cui siamo partiti per sviluppare tutta la comunicazione dell’ultimo Agile Venezia Meetup: “Il gioco è una cosa seria”.

Giocare è un’attività che produce piacere ed è usato come mezzo per raggiungere uno stato  di libertà e di ardita espressione della propria fantasia. Proprio per questo motivo, da tempo, il gioco sta diventando sempre di più uno strumento per insegnare, imparare e capire.

Era il 10 ottobre quando prendo il telefono per chiamare Antonio Fazio, un appassionato di agilità – Agile Coach e Trainer in Agile Reloaded- che mi propone come possibile tema del nostro meetup dedicato alla cultura Agile un Play14, ma in versione ridotta. Il tono della sua voce mi aveva trasmesso vibrazioni e sensazioni così positive da rendere semplicissimo l’assecondare la sua idea con altrettanta positività.

Ciò nonostante sono rimasta interdetta per qualche secondo… Play che?
Pochi minuti sono passati che il buon Reloader – Antonio è parte di AgileReloaded  l’azienda italiana per il Coaching Agile – mi spiega che il Play14 è un format internazionale dedicato al serious gaming approdato per la prima volta in Italia nel 2016.

Conclusa la telefonata  con Antonio, “corro” online e cerco informazioni sul #PLAY14. Ciò che trovo mi entusiasma! Penso “Che figata!”. Ne parlo immediatamente  con il resto del team: euforia alle stelle! Ci mettiamo subito al lavoro per definire data e location.

Si arriva a fissare una data per il 15 di febbraio, si lavora per un titolo attrattivo – da una prima proposta “#picoplay14” poco convincente, per giungere al nome definitivo di “#MiniPlay14” – e poi la grafica, la comunicazione, le locandine e tutti i materiali.

LA SERATA DEL #MINIPLAY14

Mentre ero in treno diretta a Venezia, per quello che sarebbe stato il primo workshop del nostro Agile Venezia Meetup, mai avrei immaginato una serata come quella che poi ho vissuto.
In realtà, non sapevo esattamente cosa aspettarmi. Qualche accenno qua e là, ma niente di troppo preciso sulle attività che Antonio Fazio e Francesco Pratolongo – il secondo Reloader “giocatore” – ci avrebbero proposto durante la serata.

In ogni caso, alle 19 la situazione era questa:

Reloaders in posizione? Check!
Noi del team “interlogico”? Pronti!

Forbici simpatiche dalla punta arrotondata, uno stock di palline colorate, pennarelli come se piovessero e molti, moltissimi post-it, marshmallow e… spaghetti!?
Comunque… Check!

I partecipanti? Belli carichi….

Prima di addentrarmi nel racconto della mia prima esperienza con il serious gaming, ecco una piccola panoramica sul #Play14, il genitore del nostro #MiniPlay14.

#PLAY14: SERIOUS GAMING UNCONFERENCE

Come accennato all’inizio, chiusa la telefonata con Antonio Fazio, mi metto subito alla ricerca di informazioni su questo particolare evento. Mi imbatto immediatamente in un sito del quale mi colpiscono in primis sia i colori che il payoff:
“We believe in Playfulness”.

Scorrendo la pagina web leggo di conferenze, o meglio “non conferenze” – il termine inglese è uncoferences – in giro per il mondo. Il movimento partito dal Lussemburgo, si è diffuso a macchia d’olio in tutta Europa per attraversare successivamente gli oceani e arrivare in Australia e Messico.

Il #Play14 è dunque una unconference, una tipologia di evento dove il contenuto delle sessioni è influenzato e creato dai partecipanti, che di norma dura circa due giorni organizzati come una full immersion nel serious gaming.
Il tema del gioco è strumentale per un contesto di team building, analisi retrospettiva, apprendimento, modellazione, problem solving e molto altro ancora.
Il programma non è definito in precedenza dagli organizzatori, ma si crea seguendo il classico meccanismo del “marketplace”: all’inizio di ciascuna delle giornate di evento, le persone sono libere di proporre dei contenuti, di collocarli nelle varie finestre orarie e di scegliere il posto in cui svolgere l’attività.

La regola principale è la cosiddetta “legge dei due piedi” (Two Feet Law), utile per stimolare la libertà di partecipazione e la contaminazione fra le varie sessioni. Ogni partecipante, infatti, può assistere a ciò che reputa più interessante, entrare/uscire dai vari spazi di gioco o per portare in altri gruppi quanto sentito/imparato in precedenza oppure per dedicare il tempo a cose che possano essere per la persona di maggiore interesse.

MINIPLAY14 SI ENTRA NEL VIVO

Torniamo ora al “mio” #MiniPlay14. Mentre scrivo mi accorgo che è complicato riportare a parole il clima e le vibrazioni che mi mi sono state trasmesse dai partecipanti.
Questa versione mini è una variante dal vero e proprio #Play14, come ci spiegano chiaramente i due Reloaders prima di entrare nel vivo della serata, loro infatti hanno già creato per noi il “marketplace” con tutte le attività:

  • tema Networking – “Il gioco delle coppie” o “Nomi”;
  • puntare sulla Team Building – “Teammiamoci” o “Il filo di Arianna”
  • stimolare il Pensiero Laterale – “Mimo il bastoncino” o “Out of the Box”

I PRIMI GIOCHI, SI SCIOGLIE IL GHIACCIO

Come parte del team che ha organizzato l’evento, il mio compito era ben definito sin dal principio, accogliere i partecipanti all’ingresso. Poco prima del via ufficiale, però,  Antonio con un colpo di spugna propone, anzi caldeggia, di cambiare le carte in tavola. La solita accoglienza è noia, perché non usiamo l’iter di check-in all’evento per spiegare un primo gioco?
Bella idea, penso, e sicuramente renderà più movimentati i tempi morti nell’attesa delle persone.
Fazio propone quindi di aggiungere questo gioco che aveva in mente, per aiutare i partecipanti a rompere il ghiaccio, aiutandoli ad interagire da subito, durante il consueto apericena.
Per evitare che si formino i soliti gruppetti di conoscenti, si chiede quindi uno sforzo aggiuntivo ai partecipanti invitandoli a a fare il “gioco della dolce metà” che consiste nel trovare ciò che li completa. Si pesca un bifgliettino con scritto un nome, una cosa, etc, con il compito di rintracciare il cromosoma X o Y che li completa. Hai pescato Bianco, dovrai trovare Nero. Sei Bella? Impegnati a rintracciare La Bestia. Stanlio, dove sarà il tuo fidato amico Ollio? E così via….

Ma è solo quando tutte le persone, ormai con lo stomaco pieno, vengono invitate a mettersi in cerchio e associare il proprio nome ad un gesto che li rappresenti, che si dà il via ufficiale alle danze.

Già da questo primo gioco si vede chi è più incline a mettersi in gioco e chi si tiene più sulla difensiva. C’è chi fa gesti assurdi e chi invece va sul sicuro con quelli più classici. Comincia ad emergere una parte della personalità di ognuno di noi.

Terminato il giro del cerchio, veniamo invitati a metterci in fila secondo caratteristiche ben precise, età, lunghezza dei capelli, tempo impiegato ad arrivare alla location (ammetto che non ricordo bene quale di queste opzioni è stata usata per prima ;P), e ci si divide per coppie.

Ci accomodiamo seduti sulle sedie precedentemente predisposte su due righe frontali e troviamo posati sulla seduta un foglio e un pennarello.

Poche istruzioni, ma chiare. Bisogna fare il ritratto di chi ci è seduto di fronte. Tra esitazioni e preoccupazioni per le scarsissime doti artistiche, ci mettiamo tutti in gioco, e dopo 5/10 minuti le opere d’arte sono concluse e appese al muro in esposizione.

DI RITRATTI E TEAM BUILDING

Per il prossimo gioco bisogna formare 4 squadre. Vengono quindi nominati velocemente 4 caposquadra che per selezionare i membri dovranno fare una scelta basandosi sui ritratti affissi al muro.
I gruppi si formano tra risate e confusione… (d’altronde non è facile riconoscersi attraverso le mani di chi ha delineato i tratti del nostro volto).

Si passa alla fase dedicata al team building: cosa ci aspetta sui tavolini laggiù?
Ehm… 20 spaghetti di numero, 1 m circa di nastro adesivo, 1 giro di spago, un paio di forbici e un marshmallow (sì, il dolcetto).
Mi passa per la testa un “e che ci dobbiamo fare con queste cose?”.
Francesco interviene nel mentre e ci spiega la famosissima “Marshmallow Challenge”. Il compito è quello di costruire una sorta di torre usando il materiale a disposizione sul tavolo e apponendo il cilindro zuccherato sulla sommità; vince la squadra che realizza la torre più alta, senza la possibilità di  attaccare la base della stessa al tavolo. inoltre, la torre deve restare in piedi senza alcun aiuto.

La mia squadra parte in quinta, senza troppe “progettazioni architettoniche” o “calcoli matematici”. Formiamo  per prima cosa una base unendo tre spaghetti tra loro, e poi a salire con altri spaghetti attaccati tra loro per sviluppare la torre. Una volta certi della sua stabilità, infiliamo sulla punta il nostro marshmallow. In 7 minuti circa, la nostra torre era formata, era alta e si reggeva da sola. Prendiamo la decisione di non procedere oltre, nella speranza che gli altri team non riescano a superarci!

Il timer finisce, e Francesco prende il metro per controllare l’altezza delle uniche due torri ancora in equilibrio e… abbiamo vinto! A questo punto Francesco spiega a tutti che la mia squadra ha utilizzato la strategia più efficiente: iniziare subito a costruire, proprio come farebbero i bambini, che a quanto pare sono i migliori in questa attività.

E VIA DI PENSIERO LATERALE

Terminata questa fase, si riparte con altre attività: nuova tematica, nuove coppie.

Ci vengono consegnati dei maxi shangai (se state pensando che sono pazza vi sbagliate di grosso.. erano proprio dei bastoncini shangai di legno colorato decisamente fuori misura).
Insomma, la richiesta è quella di  mimare un’attività o un oggetto che ci viene in mente utilizzando il “bastoncione”, e la persona che abbiamo davanti deve riuscire ad indovinare cosa stiamo tentando di comunicare. Ad esempio, uso il bastone come un cotton fioc, come se fosse una mazza da baseball, come una chitarra. Lo scopo? Attivare la mente, e dare spazio alla fantasia e impegnarci a essere creativi nella scelta delle azioni in maniera che siano anche comprese correttamente dal nostro compagno.

La prossima attività contribuisce all’approfondimento del pensiero laterale, quello che in inglese si definisce Thinking Out of the Box.

Il compito questa volta consiste nell’elencare a penna su un foglio una serie di parole relative ad un contesto che ci verrà fornito in due minuti di tempo.
Compito: scrivere tutte le modalità con cui è possibile attraversare un fiume.
Tre manches consecutive per liberare la nostra immaginazione. Ehm, visto che i limiti in questo caso non esistono, e per di più, siamo un bel gruppetto di persone cariche, qualcuno propone subito di attraversare questo fiume…”scoreggiando” (si può dire, vero?!) e un altro ha partorito l’intuizione di attraversarlo a galoppo di un unicorno che vomita arcobaleni! Che dire, la noia questa sconosciuta!

TEMPUS FUGIT E SI AVVICINA LA CONCLUSIONE

La serata oramai si avvicina alla sua conclusione e ci si dedica alle ultime attività. Si riparte con un altro gioco sul team building, sulla comunicazione e sulla fiducia.

Ci si divide nuovamente in squadre, due per la precisione, e a entrambe viene assegnato un intero set di carte con le quali creare una narrativa in sequenza con un filo logico, raccontare una storia, insomma. Semplice? Affatto!
In aggiunta, di questo set di carte ogni persona conosce solamente le due che gli vengono consegnate, con l’ulteriore ed esplicito divieto di mostrarle agli altri membri del gruppo. Un’intera storia da raccontare, quindi, e ognuno di noi (sto parlando di una quindicina di persone per gruppo) è a conoscenza di una realtà decisamente parziale.
Come procedere quindi?
Il “trucco” è nel descrivere a turno le carte che si hanno in mano, così da avere una sorta di percezione per argomenti, e poi proseguire mettendo giù le proprie carte coperte (eh sì, altrimenti sarebbe tutto facile). Riavvolgo.
Conosco le mie due carte e ho necessità di capire dove posizionarle in base a quello che i miei compagni raccontano sulle loro.

Lungo il percorso è chiaro che si tratta di una storia che zooma dal macro contesto al micro contesto. Si parte dallo spazio per arrivare al dettaglio della cresta di un gallo raffigurato in una rivista, passando in qualche maniera per l’Arizona.
Il tempo termina, le carte sono sistemate, e… niente, c’è qualcosa che non va nella sequenza. Un piccolo errore, un dettaglio sfuggito ed è chiaro che non abbiamo prestato abbastanza attenzione nel descrivere particolari di ciò che era disegnato sulle carte. La lezione? Tutto ciò che vediamo può aiutare il team a non sbagliare e a centrare i risultati.

È davvero finita. Ma come, sono già passate 2 ore e mezzo?
È proprio vero che quando ti diverti il tempo vola.

La proposta di un’ultimissima attività prima di salutarci.
Decido di non partecipare, così da poter raccogliere una testimonianza dal vivo da mostrare sui nostri social. Nel mentre, Francesco e Antonio fanno disporre le persone una fronte all’altra a formare un tunnel. Parte Antonio, che temerario si lancia di corsa, e poi uno a uno tutti, attraverso il “tunnel della fiducia”.
Che bel momento di questa fantastica serata: un susseguirsi di persone che attraversano questo intrico di braccia fiduciose che gli altri alzeranno le mani in tempo per farle passare senza intralcio.

È davvero l’ora dei saluti finali e della chiusura definitiva delle quinte sul #MiniPlay14 di Venezia.
Ciò che non si cancellerà facilmente, invece, è quello che ci hanno trasmesso i giochi dei nostri cari Reloaders Francesco e Antonio: una sensazione di entusiasmo e meraviglia che sento vivida anche ora mentre scrivo.

Posso dire di aver trovato il senso del motto del movimento #Play14 in Italia: “Il gioco è una cosa Seria”.

A questo punto non mi resta che dire grazie a tutti quelli che hanno partecipato con me e con Interlogica a questa straordinaria serata dell’Agile Venezia Meetup, e un grazie a Antonio Fazio e Francesco Pratolongo per avermi introdotto a questo sistema ludico prima sconosciuto: il Serious Gaming!

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